In Italia ogni anno in media 400 bambini non sono riconosciuti alla nascita

1 novembre 2013 | 01:03
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In Italia ogni anno in media 400 bambini non sono riconosciuti alla nascita

In Italia ogni anno in media 400 bambini non sono riconosciuti alla nascita

Sono ancora molti i bambini che nascono e non vengono riconosciuti dalla madre. Molti vivono il dilemma dell’abbandono; alcuni, da adulti, cercano i genitori biologici. Ma c’è chi è sereno.

Un nome da calendario

“Sono nata il 25 febbraio. Il 26 è passato dall’ospedale l’ufficiale di stato civile: era il giorno di San Claudiano. È per questo che mi chiamo così”. Claudiana Roffino, 39 anni, nata e cresciuta a Torino, preferisce farsi chiamare Claudia. Alla madre biologica deve l’essere venuta al mondo, all’ufficiale dell’anagrafe il suo nome di battesimo. Alla famiglia adottiva tutto il resto.
Claudia è una “non riconosciuta alla nascita”, messa al mondo da una donna che si è avvalsa dei diritti racchiusi nel Codice civile, all’articolo 250, e nella legge 127/97. Il diritto a un parto segreto e anonimo. E il diritto di scegliere, entro dieci giorni dalla nascita del figlio, se riconoscerlo o meno, se assumersi la responsabilità di crescerlo o se metterlo nelle mani delle istituzioni italiane prima e di una famiglia adottiva poi.
Secondo i dati dei tribunali dei minori sulle dichiarazioni di adottabilità, in Italia ogni anno in media 400 bambini non sono riconosciuti alla nascita. Un fenomeno che si è ridimensionato con il tempo: negli anni ’50 si registravano fino a 5 mila casi all’anno. Da allora le nascite sono calate del 39 per cento, i non riconoscimenti del 91 per cento. “Oggi la metà delle donne che non riconoscono sono extracomunitarie -spiega Monika Nussbaum, assistente sociale di “Madre segreta”, il servizio che la Provincia di Milano mette a disposizione delle donne in gravidanza con difficoltà. “Madre segreta” fa da filtro, con un numero verde, indirizzando le donne ai servizi territoriali. Nei casi più gravi, quelli che rientrano nel “Progetto Arianna”, le donne vengono seguite direttamente. “Le informiamo sul loro diritto a rimanere anonime e a non riconoscere il figlio; accompagnandole fino al parto, cerchiamo di fare maturare in loro una scelta libera e consapevole” spiega Monika. Sono donne sole, sostiene, senza l’appoggio di una figura maschile. Come F., peruviana di 30 anni, rimasta incinta da una relazione con un connazionale che si è dileguato. Un marito e due figli in Perù, sprovvista di permesso di soggiorno, un lavoro e una casa precari a Milano, F. ha scelto di non riconoscere il figlio. “Ogni caso è diverso, ma ci sono elementi comuni -spiega Monika- per le straniere i problemi sono molto concreti: un figlio vorrebbe dire rinunciare a tutto, mandando all’aria un progetto migratorio”. Per le italiane, invece, è ancora molto forte il fattore del giudizio sociale. E un’immaturità di fondo: non sono pronte ad affrontare tutto ciò che la maternità comporta. “Se una donna non è pronta deve avere la possibilità di scegliere -dice Monika- Spesso il non riconoscimento è un atto di responsabilità”. Le donne in difficoltà hanno il diritto ad essere informate e seguite da un’assistente sociale in ospedale. I figli non riconosciuti vengono segnalati dall’ospedale al tribunale dei minori. L’iter coinvolge oltre al Tribunale anche il Comune di Milano che diventa “tutore” del neonato. In tempi brevi, circa dieci giorni, i bimbi vengono trasferiti in una famiglia adottiva che possa prendersi cura di loro.
Claudia Roffino si ritiene fortunata. “Io non sono stata abbandonata, sono stata ‘donata’ -racconta- Ho sempre giustificato la mia madre biologica. Anche per questo non provo risentimento nei suoi confronti”. Claudia vive nella casa dove è arrivata quando aveva tre mesi, dopo una breve parentesi all’Istituto per minori. Insegna latino e greco e si dedica ai genitori, oramai ultraottantenni, che vivono a pochi metri da lei. “Quello che sono lo devo ai miei genitori -spiega- quando leggo sui giornali storie di figli adottivi che cercano la loro ‘vera’ madre, mi arrabbio. I veri genitori sono quelli che ti crescono, che ti cullano e ti sgridano, che ti seguono giorno dopo giorno. Non basta mettere al mondo un figlio per essere genitore. La genitorialità è tutto ciò che viene dopo”. Claudia sostiene le sue convinzioni con energia. Lo fa anche come volontaria dell’Anfaa, l’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (www.anfaa.it). Si presta a colloqui con figli adottivi che attraversano momenti di difficoltà, partecipa a convegni e trasmissioni televisive, per sostenere con decisione il diritto della madre alla segretezza del parto e al non riconoscimento. “L’Anfaa porta da sempre avanti una campagna per tutelare questo diritto -spiega Frida Tonizzo, assistente sociale dell’associazione- perchè va di pari passo con il diritto del neonato a crescere in una famiglia che sappia garantire condizioni adeguate per uno sviluppo armonico della sua personalità”. E il non riconoscimento, secondo Tonizzo, è uno strumento necessario a contenere il fenomeno degli abbandoni nei cassonetti e degli infanticidi (vedi box pag. 14). Il principio dell’anonimato della madre, cuore della legge 127/97, è assoluto. Così i non riconosciuti alla nascita non possono, per legge, ricorrere al tribunale per scoprire l’identità dei genitori biologici. Al contrario dei figli adottivi riconosciuti, che una volta compiuti i 25 anni, possono risalire alle proprie origini biologiche. Su Internet però sono nati siti di figli adottivi non riconosciuti che non accettano questa disparità di trattamento e rivendicano il diritto di poter rintracciare le loro “radici”. È il caso dell’associazione “Figli adottivi e genitori naturali” (www.faegn.it) e di “Astro nascente” (www.astronascente.com): siti che oltre a fornire servizi ai figli adottivi, mettono a disposizione spazi telematici in cui genitori o figli naturali possono pubblicare annunci e forse così ritrovarsi; fratelli che cercano fratelli, madri che cercano figli, figli che vogliono rintracciare genitori. “Incontrare i genitori naturali significa risolvere una parte della propria vita e aprire un nuovo capitolo -sostiene Cinzia, una delle fondatrici del Faegn- Noi lo riteniamo un diritto assoluto della personalità, che deve partire da una libertà di scelta”. Cinzia, non riconosciuta alla nascita, ha cominciato a cercare i genitori quando aveva 15 anni e si è scontrata prima con i servizi sociali e poi con il tribunale dei minori, per ben 10 anni. “L’idea dell’abbandono provoca sofferenza, è inutile negarlo. Ognuno lo supera a suo modo -aggiunge- c’è chi sceglie il distacco e chi invece vuole incontrare il genitore almeno una volta. È naturale come bere un bicchiere d’acqua”. Il dibattito in materia è acceso. C’è anche chi è contrario. “Se a un figlio non riconosciuto viene concesso il diritto di cercare la madre biologica -dice Claudia Roffino- viene a cadere il principio di ‘anonimato’ garantito dalla legge italiana. Non riesco a non vedere il rischio che la legge ne venga snaturata, perdendo credibilità”. A detta del Faegn, il rischio non esiste. “Abbiamo in mente un percorso particolare per i figli non riconosciuti che vogliono rintracciare i genitori naturali -spiega Cinzia-. Un incontro completamente anonimo, con il consenso preventivo del genitore naturale, in ambiente neutro e protetto. Speriamo in una proposta di legge”.

di Francesca Sala

 Inserito da Alberto Del Grosso