Perche’ Moro doveva morire? E’quanto Ferdinando Imposimato scrive nel suo libro “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia

7 novembre 2013 | 19:57
Share0
Perche’ Moro doveva morire? E’quanto Ferdinando Imposimato scrive nel suo libro “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia

Perche’ Moro doveva morire? E’ quanto Ferdinando Imposimato scrive nel suo libro “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia”

Ferdinando Imposimato, avvocato penalista, magistrato e Presidente aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, è stato giudice istruttore in alcuni dei più importanti casi di cronaca degli ultimi anni, tra cui il rapimento di Aldo Moro, l’omicidio di Vittorio Bachelet, l’attentato a Giovanni Paolo II. E’ grand’Ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica ed ha ricevuto diverse onorificenze. Con il solito coraggio, e la consueta passione documentale, Ferdinando Imposimato ha deciso di rileggere i troppi disastri della cosiddetta “strategia della tensione”.

Nella  sua opera “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia”, Imposimato fornisce la prova definitiva che le scelte del comitato di crisi presieduto da Francesco Cossiga furono il preludio della morte di Moro. E’ la prova della intenzionalità  delle “clamorose inadempienze e delle scandalose omissioni da parte degli apparati dello Stato”i quali, ed è questa la novità sconvolgente, pur essendo a conoscenza del luogo in cui era tenuto prigioniero  Aldo Moro, in via Montalcini, 8 (int. 1), non fecero nulla per salvare la vita dell’ostaggio. Infatti, il 7 maggio 1978, cioè due giorni prima dell’uccisione dell’uomo politico, impartirono ai militari che già da due settimane tenevano sotto controllo la prigione ed erano pronti ad intervenire per la data dell’8 Maggio, l’ordine di abbandonare il campo consentendo, così, il sacrificio di Aldo Moro con il suo assassinio.

L’America aveva probabilmente interesse a liberarsi di Moro. Cominciai allora a pensare, scrive Imposimato, all’ipotesi di un complotto nell’uccisione dello statista DC I miei dubbi su una congiura, scrive ancora Imposimato, si estesero all’assassinio di John Fitzerald Kennedy. Per questo chiesi a Louis, un agente CIA che conobbi a Villa Taverna, (aveva come nome in codice “Louis”) di aiutarmi. Mi disse che non sapeva molto dell’affare Kennedy, ma aggiunse, “A occuparsi di quella storia sono state la magistratura di News Orleans, la polizia di Dallas, l’FBI, la CIA, la Commissione Warren e uno speciale comitato parlamentare, l’HSCA, che si era interessato anche dell’omicidio di Martin Luther King. Non sono venute fuori prove decisive per sostenere la tesi del complotto. Ma penso che J.F. Kennedy sia stato ucciso perché filocomunista. Come Aldo Moro. Ed è un bene che siano morti”.

Ciascuna delle persone che ha assistito a un episodio drammatico come l’assassinio di Kennedy o il sequestro di Aldo Moro lo ha poi raccontato in modo del tutto diverso dagli altri. E tutti erano in assoluta buona fede. Spesso l’errore dei testimoni riguarda il riconoscimento delle persone. Sovente poi all’errore dei testimoni si aggiungono le scempiaggini degli esperti ufficiali, nominati da chi ha interesse a nascondere la verità. Creandone una di comodo, difficilissima da smantellare.

Il primo luglio 1963, J.F.K. invertendo una direttiva dell’amministrazione Eisenhower e superando le obiezioni del dipartimento di Stato, venne in Italia per benedire il progetto di Aldo Moro di un governo con i socialisti. Fu allora che i destini dei due statisti della nuova frontiera si incrociarono e divennero inscindibili.

Kennedy avrebbe pagato cara la sua sfida ai poteri massonici e conservatori, venendo ucciso un mese e mezzo dopo, il 22 novembre 1963 a Dallas. Poco dopo la morte di Kennedy, cominciò la campagna americana volta a minare la credibilità di Moro. Parlando di un viaggio a Roma nel 1969 con Nixon, Kissinger disse che:

vi erano molte ragioni per interessarsi della politica interna italiana: nel 1963 gli Stati Uniti  (nella persona di J.F.K. n.d.a) decisero di sostenere l’apertura a sinistra il cui obiettivo si identificava in una coalizione tra i socialisti di sinistra e democristiani: la cosa, almeno così si sperava, avrebbe isolato i comunisti. Gli esiti ultimi della coalizione si rivelarono, a distanza di dieci anni (1973) diametralmente opposti a quelli  sperati. Lungi dall’isolare i comunisti, l’apertura a sinistra (di Moro, n.d.a.) li fece diventare l’unico partito di opposizione vero e proprio. Distruggendo tutti i partiti democratici più piccoli, l’esperienza di centrosinistra privò il sistema politico italiano della necessaria elasticità.  Da qui in poi tutte le crisi di governo avrebbero avvantaggiato i comunisti”.

Kissinger rilanciò l’attacco parlando del governo varato da Mariano Rumor con Moro Ministro degli Esteri:

“L’influenza comunista era così forte che l’acuto Moro aveva deciso di sfruttarla per togliere potere ai socialisti. Grazie all’appoggio di Moro, l’influenza del Partito comunista si trasformò nella possibilità di opporre un veto formale alle decisioni del governo. Tutto ciò era oggetto di violente contestazioni da parte del governo americano. Il senso di impotenza del governo americano nei confronti della situazione italiana è espresso in un memoranum sottoposto a Nixon dal Dipartimento di Stato in data 22 gennaio 1970. Si proponeva di tenere il problema sotto controllo e di non desistere dal cercare il modo di usare tutte le nostre risorse per rendere efficace la nostra opinione a riguardo con discrezione ma in termini  efficaci”.

Kissinger, usando circonlocuzioni verbali, faceva capire che i servizi segreti non dovevano limitarsi a prendere informazioni, ma “cercare di influire sugli eventi politici in altre parti del mondo”. E qui parlo della zona grigia tra l’esercizio della democrazia e l’uso della forza.

Le minacce allo statista democristiano divennero dirette e più terrificanti. La signora Eleonora Moro disse che il marito, al ritorno dagli USA, le aveva confidato di essere stato minacciato con questa frase: “Onorevole Moro, lei deve smettere di perseguitare il suo disegno politico per portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente. Qui o lei smette di fare questa cosa o lei la pagherà cara. Veda lei come la vuole intendere”. Moro non aveva rivelato alla moglie la persona.

Se la politica di Moro del dialogo con i comunisti era avversata dagli USA, quella di Berlinguer che la sosteneva, era contrastata da Mosca. Durante il sequestro Moro la “Pravda” scrisse che “L’erocomunismo propugnato da Berlinguer serviva agli oscuri obiettivi della reazione, al discredito del regime socialista, della politica del PCUS e degli altri partiti fratelli. Di fronte a tutto questo noi non possiamo restare indifferenti”.

Ma l’attacco a Moro passò anche attraverso lo scandalo Lockheed, lanciato dall’ambiente americano che “Antelope Cobler” nascondesse l’identità dello statista democristiano che aveva incassato la tangente di un milione di dollari pagata dalla società americana Lockheed, in occasione della vendita di diciotto aerei militari Hercules all’Italia: sostenendo che si trattasse di Aldo Moro, si era provocata la sua crisi e la sua morte politica.

Randolph Stone, collaboratore di Henry Kissinger, iscritto alla loggia massonica P2, (tessera 899) capo della stazione CIA a Roma, si occupò di Moro, contro cui ordì una trama micidiale, con l’appoggio dell’ambasciatore John Volpe e dell’ambasciatore Luca Dainelli, (già ambasciatore italiano in medio oriente, successivamente dimissionario), che fece il nome di Moro quale Antelope Cobler. Sentito dalla Consulta, Dainelli sostenne, con grande spregiudicatezza: “Antelope Cobler è lui, Aldo Moro” affermando di aver avuto la notizia da fonti autorevoli: un giornalista, un ambasciatore, un altro agente della CIA”. Questi, convocato dalla Consulta, aveva detto tra l’altro “non mancai di far presente agli americani che Kissinger usava mandare in busta chiusa, diretta all’ambasciatore Volpe, i documenti che si riferivano all’Italia. Tra essi era giunta da poco copia di un appunto nel quale l’assistente segretario di stato Lowentein comunicava al Segretario di Stato che l’Antelope Cobler del caso Lochheed era l’onorevole Aldo Moro”.

Ache io (scrive Imposimato), avevo avuto il dubbio, insinuato da quelle testimonianze, che lo statista fosse realmente coinvolto nello scandalo. E questa notizia va tenuta ben presente a sostegno della tesi che esisteva uno schieramento massonico e d’intelligence di vasta dimensione, che aveva interesse alla distruzione dell’immagine di Aldo Moro, in vista del sequestro che i congiurati sapevano imminente.

Passi tratti dal libro: ”I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia” Prefazione di Antonio Esposito- Perché Moro doveva morire? La storia vera, autore: Ferdinando Imposimato, Newton Compton Editori.

Alberto Del Grosso