Scandalo del Tribunale di Torre Annunziata:condannati Ormanni, Vernola e altri 19

19 gennaio 2014 | 15:16
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Scandalo del Tribunale di Torre Annunziata:condannati Ormanni, Vernola e altri 19

Scandalo del Tribunale di Torre Annunziata:condannati Ormanni, Vernola e altri 19

Maxi stangata del Tribunale di Roma nei confronti dell’ex procuratore capo e del famoso “cancelliere d’oro”

di ROSARIA FEDERICOROMA/TORRE ANNUNZIATA –

Viaggi, mandati di pagamento fasulli, rimborsi per missioni investigative all’estero, auto di lusso e festini in rinomati ristoranti: dodici anni dopo lo scandalo e l’arresto del super cancelliere Domenico Vernola e la sospensione del capo della Procura di Torre Annunziata, Alfredo Ormanni, arriva la sentenza di primo grado per 26 imputati. Ventuno condanne pesantissime, in parte mitigate da indulto e prescrizione, cinque assoluzioni per il lento e corrosivo incedere del tempo trascorso. Disattese le blande richieste del pubblico ministero, i giudici del Tribunale di Roma che dal 2010 hanno iniziato il processo dopo numerosi stop, hanno inflitto 91 anni di carcere agli imputati e la pena accessoria del licenziamento per i dipendenti pubblici.
Associazione per delinquere finalizzata al peculato, falso e riciclaggio accuse dalle quali hanno cercato di difendersi l’ex magistrato, il cancelliere – già condannato a 4 anni di reclusione nel 2004 per altri episodi analoghi -, dipendenti del tribunale di Torre Annunziata, esponenti delle forze dell’ordine, familiari e prestanomi di Vernola l’uomo d’oro che dal 1994 al 2002 ha incassato oltre 30 miliardi delle vecchie lire grazie a mandati di pagamento fasulli.
La decima sezione del tribunale di Roma ha chiuso il processo in primo grado alle 23 e 30 di venerdì 17 gennaio. Un venerdì nero per Alfredo Ormanni al quale i suoi ex colleghi hanno inflitto sei anni di reclusione per i mandati emessi dal 15 gennaio del 2001 al 24 settembre del 2002, periodo in cui Vernola scappò dal Tribunale e i fasti del palazzo di giustizia oplontino, tra inchieste internazionali, viaggi in località prestigiose, auto di lusso e festini in noti locali, tramontarono dietro lo scandalo dell’ammanco miliardario. Ormanni – per il quale l’accusa aveva chiesto una condanna a due anni e 8 mesi di reclusione – è stato ritenuto colpevole oltre che per i mandati firmati nel periodo successivi al 2001 (per i precedenti è arrivato il colpo di spugna della prescrizione) anche per i viaggi effettuati da marzo del 2001, al 9 agosto del 2002. Viaggi ‘fantasmagorici’, pagati da Domenico Vernola con i soldi dello Stato, a Ormanni e ai suoi familiari, in mete esotiche. A nulla è valsa la difesa dell’ex procuratore di Torre Annunziata, oggi avvocato, che ha sostenuto di essere stato raggirato e che quei mandati erano falsificati dallo stesso cancelliere che apponeva – ‘sovrascrivendola’  – la sua firma. E poi c’erano le auto, quelle di lusso, regalate dallo stesso Vernola a Ormanni. I sei anni inflitti a Ormanni dovranno essere scalati di tre di cui beneficerà per effetto dell’indulto. Mano pesante dei giudici anche sullo stesso cancelliere, già condannato a 4 anni, nel primo processo al quale sono stati inflitti altri 5 anni in continuazione per i mandati emessi dal 2001 al 2002. Medesima condanna per il fratello del supercancelliere, Mario Vernola e per la moglie Fulvia Mayer, il fratello di quest’ultima Vladimiro, pene più lievi per gli altri familiari tra cui la figlia Stefania accusati di aver riciclato i soldi sottratti dal Tribunale di Torre Annunziata e dal Ministero della Giustizia per acquistare appartamenti e beni di lusso. Condannata anche la dipendente del tribunale Emilia Salomone, all’epoca in servizio al modello 12, che – confidando nella sua innocenza – era stata tra i pochi a rinunciare alla prescrizione. Accusata di aver ottenuto un prestito personale da Vernola alcuni anni prima che scoppiasse lo scandalo è stata ritenuta complice del cancelliere e condannata a 3 anni e sei mesi di reclusione, quasi totalmente coperti dall’indulto, ma rischia il licenziamento. E poi c’è la lunga lista di espoenenti delle forze dell’ordine molti dei quali ancora in servizio presso le rispettive amministrazioni condannati per pene variabili dai 3 anni e 8 mesi ai 5 anni di reclusione.
Sono gli uomini delle ‘missioni’, dei rimborsi milionari per indagini mai effettuate o caricate su fascicoli d’inchiesta all’epoca famosi come Cheque to Cheque e la scomparsa di Angela Celentano. Facevano parte dell’entourage di Domenico Vernola e Alfredo Ormanni e alcuni di essi avevano incassato mandati per decine di milioni di lire: tra questi gli agenti Massimo Pisciotta, Giuseppe Abete, ma anche Vincenzo Vacchiano – ex maresciallo della stazione dei carabinieri di Vico Equense -, per un periodo punta di diamante tra gli investigatori che collaboravano con i magistrati oplontini. Erano gli anni d’oro in cui il tribunale ‘baluardo di legalità’ contro il crimine organizzato dell’area vesuviana e stabiese, era al centro dell’attenzione mediatica nazionale e internazionale anche per inchieste che travalicavano i confini europei e allora centinaia di milioni di lire venivano spesi in intercettazioni telefoniche, cimici, congegni elettronici sofisticatissimi, ma anche per missioni all’estero e in Italia. Una ‘grandeur’ da mandati di pagamento con cifre a sei zero, ideati per i suoi complici da don Mimì Vernola e firmati dall’allora procuratore Alfredo Ormanni. Una ‘grandeur’ finita nell’ottobre del 2002 quando ormai non fu più possibile mantenere nascosto lo scandalo. Nei confronti di Vernola, fu emesso un mandato di arresto dall’allora sostituto procuratore Francesco Paolo Rossetti. Vernola sparì, per consegnarsi giorni dopo nel carcere di Rebibbia. Ormanni cedette dopo aver cercato di giustificare il suo operato, sospeso dal Csm. E il Tribunale di Torre Annunziata fu passato al setaccio dai magistrati della Procura di Roma e dagli ispettori del Ministero di Grazia e Giustizia e dalla Corte dei Conti. Venerdì 17 gennaio 2014 ai 26 imputati sono stati inflitti 91 anni di carcere, gran parte dei quali spazzati via dall’indulto e mitigati dalla prescrizione per la lungaggine di un processo che sembrava non dovesse finire mai.

Fonte: Metropolis

Inserito da Alberto Del Grosso