Nel 1960 fui inviato ad Islamabad, Pakistan, Di seguito ne traccio un profilo.
Correva l’anno 1960 quando fui inviato ad Islamabad, Pakistan; ci rimasi pochi mesi per diverse ragioni.
Avevo preso il volo diretto della Pakistan Arline da Milano e giunsi ad Islamabad dopo circa 9 ore. Nella piccola sala dell'aeroporto di Islamabad c'è l'unico nastro trasportatore che sta girando a vuoto già da 45 minuti senza nessun bagaglio sopra
Tutti se ne sono andati tra la confusione e le grida per accaparrarsi i pochi carrelli sgangherati a disposizione, anche gli unici occidentali, una spedizione di 7 alpinisti svizzeri.
Siamo rimasti solamente io, due pakistani e tantissimi poliziotti armati che controllano l'aeroporto, Sono preoccupato, ma dopo aver chiesto con insistenza ai vari responsabili del perché di questo strano ritardo ed essermi ogni volta sentito rispondere "No problem Sir", mi siedo sugli sgabelli scoloriti vicino alle pareti scrostate. Osservo silenzioso e fisso il nastro cigolante, non me ne sono accorto, ma passivamente mi lascio avvolgere dal caldo, reso appena sopportabile dalle grandi ventole che girano sopra le nostre teste, ma sudo molto e ho la camicia completamente bagnata.
Sconsolato sto già pensando a come potrò spostarmi senza le mie cose, quando improvvisamente oltre la vetrata, sulla pista, vedo arrivare un piccolo furgoncino che trasporta alcune valige. Le gocce di sudore sul mio viso lasciano spazio ad un sorriso liberatorio e lo lancio ai 2 pakistani che però mi guardano indifferenti e silenziosi; loro, per tutto il tempo erano rimasti tranquilli e sicuri come se fosse tutto normale e solito.
Carico il mio bagaglio su un carrello, ormai posso scegliere e faccio le cose con calma, sbrigo le ultime formalità e mi avvio verso la "libertà".
Quando supero l'ultima porta e mi ritrovo nel grande parcheggio, oltre al caldo soffocante e alla luce intensa, mi assale una folla di decine e decine di persone, tassisti, guide, ragazzi, facchini, albergatori, venditori, che come leoni affamati vogliono offrire qualcosa. Tutti mi sono addosso, mi tirano la camicia, il materiale, il carrello e gridano "my friend, my friend". Sembra di essere in un pentolone di acqua calda, non vedo e non sento nulla oltre il carrello, non sono padrone di me stesso, sono confuso, ma è solo un attimo, con autorità e sicurezza, grido anch'io e impongo la mia personalità con forza (sono costretto per non soccombere).
Scelgo con fermezza un tassista maturo nell'età, con il viso scuro seminascosto da una folta barba nera dai movimenti precisi e sicuri che fa da scudo contro gli attacchi divenuti sempre più deboli degli altri che sentono di aver perduto un'occasione di guadagno. (Devo apparire un turista, ma so già dove andare). Nel taxi mi sento sicuro, ma è solo quando mi trovo all'interno della camera dell'albergo e sono disteso sul letto, con attorno per terra tutta la mia roba, che mi rilasso completamente e chiudo gli occhi accarezzato dall'aria che sembra fresca, spostata dalle pale della ventola. Sono a Rawalpindi vicinissima ad Islamabad, una piacevole città di 1 milione e 400 mila abitanti, con il suo insieme di mercati e persone che si diramano in ogni direzione, un caos che gusto volentieri, mi diverto ad osservare la confusione fatta di gente che grida ed urla, di strade affollate dove i carretti trainati dai cavalli e gli ape-taxi si aprono a stento la strada in un continuo concerto di clacson tutto avvolto da smog intenso. Tutto questo trambusto è reso pittoresco dalla presenza di autobus che sono lo specchio della vita pakistana, decorati come altarini, con paesaggi, scritte del Corano, catenelle in metallo e legno e disegni psichedelici, presi d'assalto dalla gente che ci sale con ogni cosa e richiamati dall'invito del bigliettaio che urla e batte la mano sulla lamiera.
La vita della città è veloce e frenetica anche se il gran caldo di fine luglio può arrivare a 40-45° e la gente trova refrigerio alle bancarelle dove venditori di ghiaccio offrono bibite fresche.
Rimango un paio di giorni, il tempo necessario per organizzarmi e prendere i contatti di lavoro. Poi mi vengono a rilevare e mi conducono ad Islamabad.
Islamabad è una città situata alle pendici del’Himalaya, il clima è secco, le estati sono piovose e calde, la temperatura arriva a 40/45 gradi e in inverno la temperatura arriva anche sotto lo zero. Speso arriva in città anche la neve. Non incontra grande interesse turistico, pur avendo diverse attrattive: La moschea di Shah Faysal situata sulla collina Margallo, un grande edificio bianco con agli angoli quattro minareti alti circa 85 metri, può contenere anche 10,000 persone. Lark Virsa è una specie di museo situato nelle vicinanze del parco Shakarparian ed ospita una ricchissima documentazione sulle tradizioni popolari tipiche del luogo; nel parco Shakarparian si possono fare belle passeggiate e nel famoso bazar Rajah si trovano oggetti di ogni genere.
La caratteristica di Islamabad sono i viali che si incrociano ad angolo retto formando ampi quadrati o blocchi ove trovano spazio i singoli distretti e quartieri, ciascuno dei quali è contrassegnato da una lettera accompagnata da un numero ("F-9", "G-9", etc.). Nella vita di tutti giorni nessuno usa questa classificazione ufficiale preferendo far ricorso al nome del centro commerciale (markaz) al centro di un singolo blocco. La cosiddetta "Blue Area" corrisponde al blocco F-6 e si estende intorno al Jnnah Market, può considerarsi il centro commerciale di Islamabad.
I palazzi governativi e diplomatici sono concentrati più ad est della “Blues area” nella estremità orientale di Islamabad in una zona verde a nord del lago Rawal. A pochi chilometri c’è Rawalpindi che forma con Islamabad un unico complesso urbano.
Cosa mangiare a Islamabad? Riso speziato con carne o pesce e piatti al barbaque con varietà di spezie, che comprendono piatti popolari con il pollo e i kebab. Il pane casalingo è il Chapati, fatto con farina integrane di grano, è sottile e non lievitato. Quello con farina bianca e lievitato si chiama Naan ed a volte la crosta è ricoperta di semi di sesamo. I kebab sono speziati e marinati in un miscuglio di spezie, succo di limone e yogurt. Tra i dolci più popolari il Gulab Jamun, (ma non so di cosa sia fatto). Dopo mangiato si sorseggia il kehwa che ha il sapore di tè al gelsomino.
Nei centri urbani del paese, dove maggiore è l'occasione di incontro tra le culture, si inventano nuovi piatti. Le cucine locali ed internazionali, inoltre, non solo stanno acquistando notorietà ma cominciano ad entrare a far parte degli usi della gente. Ad es., molti locali Pakwan (locali dove è possibile acquistare piatti pronti) stanno inventando nuovi stili offrendo piatti presi da diverse cucine.
Il Pakistan sul golfo di Oman (mare arabico) confina a sud con l’India ed a nord con l’Afganistan, ad est con la Cina e ad ovest con l’Iran.
La catena montuosa dell’Himalaya divide l’India, Pakistan, Nepal e Cina.
Il territorio fu dominato dagli inglesi sino al 1947, quando gli inglesi lasciarono le colonie e diedero vita a India e Pakistan, tra India e Pakistan ci fu anche guerra.
PAKISTAN Storia politica tra 1959/1960
<Ecco quanto dichiarò il 15 gennaio 1960 lo stesso presidente Mo?ammed Ayy?b Kh?n, i membri dei comitati o consigli locali urbani (Town, o Union, committees) saranno esclusivamente elettivi, mentre quelli dei consigli locali rurali (Union councils) saranno per un terzo di nomina governativa. I consigli locali resteranno in carica cinque anni. Elettori sono tutti i cittadini che abbiano compiuto il ventunesimo anno di età (salvo le normali esclusioni per i criminali, gli infermi di mente, ecc. previste da un apposito documento: l'Elective bodies disqualification order); eleggibili, tutti i cittadini elettori che abbiano almeno venticinque anni.
I consigli dei thana, avranno il il compito di coordinare le attività dei consigli locali compresi nei rispettivi thana o ta???l. Essi saranno composti per un terzo di membri designati dalle autorità governative e per due terzi di membri "rappresentativi". Saranno d'ufficio membri rappresentativi i presidenti dei comitati o consigli locali.
I presidenti dei consigli dei thana, o ta???l, i presidenti delle amministrazioni municipali comprese in un determinato distretto e tutti i rappresentanti della pubblica amministrazione espressamente specificati dal governo, faranno parte, d'ufficio, dei consigli distrettuali, il cui compito è il coordinamento delle attività dei rispettivi organi municipali e consigli locali. I membri di nomina governativa saranno, in questi consigli, di numero non inferiore a quello dei membri d'ufficio e per metà scelti tra i presidenti dei consigli locali compresi nel distretto in questione. Presidenti dei consigli distrettuali saranno, d'ufficio, i capi stessi dell'amministrazione distrettuale chiamati collettori (collectors) con termine risalente all'amministrazione britannica.
I consigli divisionali, il cui compito è il coordinamento di tutti gli organi della zona di loro competenza e l'elaborazione di piani di sviluppo da sottoporre all'esame dei consigli provinciali, saranno composti da membri ufficiali – quali i collettori e determinati funzionarî municipali e ministeriali designati dal governo – e da un numero non inferiore di membri di nomina governativa scelti, almeno per metà, tra i presidenti dei consigli locali. Presidenti dei consigli divisionali saranno, d'ufficio, i funzionarî preposti alle divisioni chiamati, con termine risalente anch'esso all'ordinamento amministrativo britannico, commissarî (commissiones). Infine, i consigli consultivi provinciali di sviluppo saranno composti da membri d'ufficio e da membri di nomina governativa in una proporzione direttamente fissata dal presidente del Pakistan. Compito dei consigli provinciali sarà di fornire al governo pareri sul coordinamento delle attività degli organi provinciali, sulla concessione di sovvenzioni a tali organi, sulla costituzione di istituti per l'addestramento dei membri e dei dipendenti degli stessi, ecc. >
Il decreto del 27 ottobre 1959 detta anche norme sull'amministrazione dei fondi finanziarî locali e definisce i rapporti tra consigli del medesimo grado.
Nello stesso mese di ottobre del 1959 gli uffici governativi e, successivamente, le rappresentanze diplomatiche straniere, si trasferirono da Karachi a Rawalpindi, nei cui pressi era in corso di costruzione la nuova capitale che si chiamerà Isl?m?b?d.
Il 17 febbraio del 1960 fu intanto ufficialmente insediata una commissione di dieci membri (cinque per il P. occidentale e cinque per il P. orientale), presieduta da un magistrato della Suprema Corte, con il compito di redigere, nel più breve tempo possibile, una nuova costituzione grazie alla quale si possa porre termine al regime di legge marziale tuttora vigente.
Lingua ufficiale nel 1960 è per il momento l'inglese, ma pare sia allo studio una lingua che, componendosi di elementi lessicali dell'urd? e del bengalico (ma non è chiaro come verranno armonizzate le differenze morfologiche esistenti tra le due lingue), dovrebbe diventare per tutto il paese la nuova lingua ufficiale. Il progetto, ventilato intorno al 1951, di fare dell'arabo la lingua ufficiale del Pakistan, sembrò per il momento abbandonato.
I caratteri scritti della lingua urdu sembrano arabi, ma in realtà un arabo non capirebbe nulla se dovesse leggere l’urdu. All’ascolto l’urdu sembrerebbe per noi occidentali simile all’indiano, ma in realtà non ha molto a che fare con l’hindi. Un pakistano invece di dire “Namastè?” quando vede qualcuno, saluta in modo islamico con “Assalamu aleikum” poiché gran parte della popolazione è musulmana. “Come ti chiami? si dice “Aapka nam kya heyh?” e “Mi chiamo Moustafa” in urdu è “Mera nam Moustafa heyh” . Per ringraziare “Shukria” e per salutare con un arrivederci “Khuda hafiz”. I pakistani parlano trecento dialetti e una dozzina di lingue. Tutto è cominciato dalla prima invasione degli Arii, le lingue pakistane provengono dal ramo persiano e indiano, come: il pashto, il beluci –dal persiano- , il panjabi, il sindhi e l’urdu –dall’indiano-. L’urdu è una lingua indoeuropea con influenze persiane, turche e arabe al tempo del Sultano di Delhi e dell’Impero Moghul (1200- 1800). È la lingua nazionale del Pakistan e significa “accampamento”, nonostante che la maggior parte della popolazione parli il panjabi. L’urdu è usato nel Parlamento, dai mass media ed insegnato nelle scuole. I pakistani parlano anche l’inglese, lingua della colonizzazione. L’inglese è usato dal ceto alto, l’urdu dal ceto medio e il panjabi dalla maggior parte della popolazione. L’urdu si scrive da destra a sinistra, come l’arabo.
(ndr. i miei contatti parlavano inglese ma quando era necessario, avevo un interprete a disposizione).
Sin dalla sua creazione nel 1947, il "Paese dei Puri" ha eletto l'islam a fondamento della sua identità, contrapposta all'induismo del nemico indiano. Il processo di islamizzazione ebbe inizio sotto Zia'ul-Haq (1977-88) che si era appoggiato alla potente Jamaat-e-Islami, promotrice di un adeguamento alla legge islamica delle istituzioni del Paese. Ma l'opposizione sciita riuscì a "congelare" l'opera del premier fino al 1988 quando fu istituito nel Paese un sistema democratico di tipo occidentale. Sopravvissero comunque alcuni provvedimenti del Codice penale, come la famosa Legge sulla blasfemia che punisce di morte chi insulta il profeta dell'islam e prevede l'ergastolo a chi offende il Corano. Nonostante le assicurazioni di Sharif circa la tutela dei diritti delle minoranze (cristiani, indù, sikh, buddisti ed altri), individui e gruppi religiosi hanno spesso abusato di questa legge con lo scopo di sistemare dispute personali o incitare al conflitto fra le diverse religioni.
PAKISTAN Situazione politica attuale
Paul Bhatti, fratello di Shahbaz, è oggi il politico pakistano impegnato in prima linea nel rispetto delle minoranze nel Paese:
Shahbaz Bhatti, (fratello di Paul) ha lasciato una eredità difficile e molto significativa. La situazione in Pakistan presenta un incremento di estremismo, terrorismo e fanatismo che si prevedeva già anni fa. Per questo, Shahbaz Bhatti cominciò a parlare di dialogo interreligioso e di unità fra tutte le diverse fedi. In maniera particolare, lui fu molto vicino ai più deboli e ai più poveri.
Oggi, questo suo pensiero da chi è accolto? Non solo dalle persone che gli volevano bene, dai suoi seguaci, ma anche dal governo pakistano, anche dai militari. Adesso si è arrivati alla conclusione che questo estremismo, questo fanatismo, vada assolutamente combattuto perché altrimenti non ci sarà sopravvivenza.
Come giocano i bambini di Islamabad? – Tra immondizia e spazzatura, con sorrisi disarmanti
Siamo abituati a vedere i nostri figli giocare con gli ultimi ritrovati della tecnologia: computer; console; videogiochi e cose simili. Nessuno di loro chiede più i cari e vecchi giochi di legno o oggetti semplici con i quali invece, la nostra generazione è cresciuta.
Dall’altro capo del mondo, in Pakistan, in Indonesia, in Argentina, oppure a Nuova Delhi per citare solo alcuni luoghi, fuori del centro, ci sono bambini che non sanno neppure che cosa sono i più elementari giocattoli.
Basta fare un giro per queste città, per farsi un’idea della drammaticità delle condizioni di vita dei piccoli.
Benché li vediamo aggirarsi tra cumuli d’immondizia e pozze di melma putrida, appena ci scorgono, sui loro volti appare un sorriso disarmante che ci spiazza. Nei nostri cuori divenuti piccoli piccoli per la tristezza, di quella condizione non umana, sgorga d’improvviso un calore immenso. Quegli occhi grandi, innocenti, ignari, che non conoscono altra vita se non quella, non capiscono il nostro sgomento e l’amarezza nel costatare l’abisso che vi è tra loro e noi. Il loro modo di vivere ed il nostro.
Bambini che si divertono giocando e frugando nelle discariche, come se fosse la cosa più normale di questo mondo. Ragazzini che si tuffano in pozze di liquame tossico e fanno a gara. Altri che si rincorrono a piedi nudi (perché sono comunque tutti mezzi svestiti o con abiti logori) tra capanne di fango e fogne a cielo aperto.
E’ proprio per questo motivo che la mortalità infantile è altissima.
Dopo aver visto queste immagini che non possono lasciare indifferenti, viene spontaneo chiedersi se sia giusto viziare, perché è di questo che si tratta, di saziare dei capricci e non necessità, i giovani d’oggi.
Viviamo in una società consumistica in cui ci si lamenta spesso di cose futili, entrando anche in depressione. Basterebbe fermarsi e guardare attorno a noi, per rallegrarsi di ciò che si ha.
Alberto Del Grosso
Giornalista Garante del Lettore
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