![Marina Pellegrino e il camerismo mozartiano](https://cdn.positanonews.it/photogallery_new/images/2014/05/la-pianista-marina-pellegrino-189542.webp)
Doppio appuntamento romano per la giovane pianista vietrese che questa sera si esibirà al Teatro Palladium e mercoledì sarà protagonista di una lezione concerto
Di OLGA CHIEFFI
Doppio appuntamento romano per la pianista Marina Pellegrino, la quale sarà alla testa di un quartetto di suoi colleghi allievi dell’Accademia di Santa Cecilia, per l’esecuzione dell’opera K.493 di Wolfgang Amadeus Mozart. Questa sera, alle ore 20,30 la formazione, composta da Vincenzo Meriani al violino, arco salernitano, Sergio De Castris al violoncello, talento avellinese e la sarda Giulia Dessy alla viola, saranno ospiti del cartellone allestito della Roma Tre Orchestra nella prestigiosa cornice del teatro Palladium, “Primavera in Musica”, una rassegna in cui solisti affermati sul panorama internazionale si alterneranno a giovani musicisti, in programmi all'insegna del grande repertorio musicale cameristico. Mercoledì sette, invece, intorno alle ore 18,30, la stessa formazione sarà protagonista di una lezione concerto, negli spazi della sede del Circolo degli Scacchi di Roma, nello splendido Palazzo Rondinini, meraviglioso esempio di architettura del XVIII secolo, è uno dei più prestigiosi palazzi in stile barocco di Roma. Tra gli organici di musica da camera, quello per pianoforte e archi (violino, viola e violoncello) non è tra i più frequenti neppure nella piena espansione dell'Ottocento, dove si contano pochi pezzi isolati, e ancor meno lo era ai tempi di Mozart, allorché il pianoforte veniva per lo più abbinato all'orchestra (anche da camera) nel genere del Concerto, e gli archi si disponevano in formazioni omogenee, come il Quartetto e il Quintetto, l'una e l'altra variamente ma diffusamente impiegate da Mozart stesso, o tutt'al più al pianoforte si aggiungevano uno (Sonata) o due archi (Trio). Tant'è che nel suo catalogo figurano soltanto due lavori per questa compagine insolita: il primo, in sol minore, reca il numero K. 478 e la data del 16 ottobre 1785; il secondo, il nostro, in mi bemolle maggiore K. 493, è conseguente di poco meno di un anno (Vienna, 3 giugno 1786) e occupa, nel catalogo mozartiano, la posizione successiva alle Nozze di Figaro (K. 492). Alla loro origine vi fu una commissione risalente all'estate del 1785 da parte dell'editore Franz Anton Hoffmeister per la composizione di una serie di tre Quartetti con pianoforte da destinare al pubblico viennese dei più colti amatori e dilettanti: evidentemente, nell'intenzione dell'editore, vi era quella di tentare nuove strade. Ma dopo l'insuccesso commerciale del primo, pubblicato alla fine del 1785, Hoffmeister pregò Mozart di non comporre più gli altri due Quartetti e di considerare annullato il contratto, dichiarandosi però pronto a lasciargli l'acconto versato. In realtà il secondo Quartetto (K. 493) era già in fase di lavorazione e per questo Mozart si rivolse a un altro editore, Artaria, già editore dei Sei Quartetti op. X dedicati a Haydn, offrendoglielo in alternativa. E Artaria, più audace e disponibile del collega, lo acquistò, per pubblicarlo poi nel luglio 1787. Il Quartetto K. 493 rappresenta perfettamente la sintesi di questi due mondi opposti, quelli del dialogo drammatico e dell'introspezione interiore. Quest'esito non sarebbe stato così naturale senza la vicinanza delle Nozze di Figaro, prima compiuta affermazione del teatro di Mozart, sotto il cui segno, storico e artistico, questo Quartetto si pone. Tutto vi appare però come decantato. Nei tre movimenti si respira un'aria di matura consapevolezza, di fluente discorsività, di grazia ornamentale: anche le tensioni drammatiche, gli spunti appassionati e "romantici", sono calati in un'atmosfera di raggiunta armonia espressiva e formale, di equilibrio superiore, in una parola classico. Il primo movimento (Allegro) è il più ricco di sostanza tematica e di espansività, con estese sezioni di calda effusione melodica e cantabile, in un clima di fondo lucido e sereno, senza ombre. Il pianoforte introduce incisivamente i motivi tematici e li elabora con spiccate volate solistiche, incalzato dagli archi, sempre pronti all'imitazione e alla variazione: gli episodi si connettono così in una piena affermazione dello stile concertante. Il Larghetto centrale in la bemolle maggiore è, come avviene spesso in Mozart, il centro di gravità dell'opera, il momento introspettivo nel quale il lirismo più delicato si dispiega in modo gravemente serio, pensoso e profondo, senza perdere però il controllo della disciplina formale: di certo questa non è musica per "signorine della buona società" che si possa ascoltare con un sorriso distratto, né seguire con superficiale disattenzione. Vi domina, fin dal tema esposto per quattro battute dal pianoforte solo e poi concluso dagli archi, un senso di trepida attesa, di ansia quasi drammatica, che si manifesta negli scarti dinamici, nelle pause che spezzano il fraseggio, nei giri tortuosi dell'armonia, sospesa tra ampie aperture intervallari e ripiegamenti in scontrosi cromatismi: solo nella seconda parte il discorso si ricompone in un flusso più disteso e continuo. Perfino il luminoso Rondò finale (Allegretto), la cui melodia sostenuta da semplici accordi sembra l'essenza della purezza e dell'ingenuità, riserva all'ascoltatore, sotto la superficie spensierata, idee contrastanti singolarmente esposte e riprese, sortite solistiche ostentatamente marcate, tratti di spirito ammiccanti, perfino risvolti umoristici insistiti e pungenti. Da questa apparente dispersione di un gioco sorprendentemente esatto tutto sfocia non in una cadenza, ma in un segnale del pianoforte che, con un lungo trillo sospeso sulla dominante, richiama all'ordine i tre strumenti ad arco preparando l'ultima ricomparsa del tema principale e destinandolo alla trionfale conclusione.