’La Fabbrica Felice’ un racconto saggio a Piano di Sorrento

1 giugno 2014 | 00:00
Share0
’La Fabbrica Felice’ un racconto saggio a Piano di Sorrento

Rossano Astarita ha presentato una microstoria immaginaria ma verosimile

PIANO DI SORRENTO – Sullo sfondo della Napoli degli anni ’50 e con l’intreccio di un operaio che lavora nella fabbrica dell’Olivetti di Pozzuoli, l’autore metese nel suo racconto saggio ha intessuto una breve storia immaginaria.

In una sala eventi della Libreria ‘in Mondadori’ esaurita, contornata sia dalla mostra fotografica sui materiali che della fabbrica Olivetti di Pozzuoli, a cura di Rossano Astarita, Maria Damiani e Paolo Terlizzi, e sia dall’esposizione della macchine da scrivere, i convenuti, minuti dopo minuti, si sono inerpicati nell’interessante discorso. Un discorso che con gli interventi della dottoressa Maria Damiani (Il Colibrì – La Conf.ta dei Giardinieri), dell’architetta Paola Gargiulo (Centro Studi ‘Marion Crawford’) e del professore Biagio Passero (Associazione ‘Studi della Marineria Sorrentina), si è intrufolato sia nella storia della fabbrica che sorse sul territorio puteolano e sia nella vita degli operai che vi lavoravano.

La vicenda del racconto saggio in 32, è il numero della più riuscita macchina da scrivere della Olivetti, che in quasi tutte le case era protagonista, ‘La Fabbrica Felice’ (Giannini Editore), dell’intellettuale Rosssano Astarita, ruota intorno ad un giovane perito che poi sarà operaio, Vincenzo Artiaco, che entra a lavorare in quella fabbrica di macchine da scrivere che è un’innovativa scommessa nel mezzogiorno che fa l’allora ascendente ed affermato Adriano Olivetti. Un uomo che al suo tempo, sia prima della guerra che dopo, nel boom economico, non solo si cimentò nel costruire le sue famose macchine da scrivere, ma fu quello che realizza per primo, anche degli statunitensi, una calcolatrice con le quattro operazioni.

Nacque sulla collina di Monte Navale, nelle vicinanze di Ivrea l'11 aprile del 1901, dal padre Camilloebreo, e dalla madre Luisa Revel, valdese. Nel 1924 conseguì la laurea in ingegneria chimica al Politecnico di Torino e, dopo un soggiorno di studio negli Stati Uniti insieme a Domenico Burzio (Direttore Tecnico della Olivetti), durante il quale poté aggiornarsi sulle pratiche di organizzazione aziendale, entrò nel 1926 nella fabbrica paterna ove, per volere di Camillo, fece le prime esperienze come operaio. Nel 1932, anno in cui lanciò la prima macchina da scrivere portatile chiamata MP1, assume la direzione della fabbrica di Ivrea, di cui diventa poi Presidente nel 1938, subentrando al padre Camillo. Egli si pone l'obiettivo di modernizzare la Olivetti, proponendo un vasto programma di progetti e di innovazioni: l'organizzazione decentrata del personale, la direzione per funzioni, la razionalizzazione dei tempi e metodi di montaggio, lo sviluppo della rete commerciale in Italia e all'estero, ed altre ancora. Le novità da lui introdotte sono caratterizzate da un'attenta e sensibile gestione dei dipendenti, sempre considerati dal punto di vista umano prima che come risorse produttive. Durante gli anni del regime Adriano, date le origini ebraiche della sua famiglia paterna, ha ripetutamente bisogno della certificazione di 'razza ariana' da parte della questura di Aosta, che nel 1931 apre un dossier su di lui; sulla copertina il giovane imprenditore viene così definito: 'Olivetti Adriano di Camillo: Sovversivo'. Anche dopo la caduta del fascismo i suoi rapporti con le autorità non migliorano; viene arrestato da Badoglio che lo accusa di metterlo in cattiva luce con gli americani, con i cui servizi segreti egli ha stretti rapporti. Tornato libero, dopo un periodo di clandestinità, ripara in Svizzera, da dove tiene contatti con la Resistenza. Durante l'esilio (1944-1945) inoltre, frequenta assiduamente Altiero Spinelli, teorico dell'unità europea, e completa la stesura del libro ‘L'ordine politico delle comunità’, pubblicato alla fine del 1945. Nel quale sono espresse quelle idee che supporteranno il ‘Movimento Comunità’ fondato nella città di Torino nel 1948. Nello stesso anno entrò a far parte del Consiglio direttivo dell'Istituto Nazionale di Urbanistica, cui aveva aderito dieci anni prima, infatti nel 1937 aveva partecipato ad una serie di studi su un piano regolatore della Valle d'Aosta. Nel 1949 Olivetti si convertì al cattolicesimo “per la convinzione della sua superiore teologia” e l’anno seguente espose la sua visione del primato in campo politico dell'Urbanistica e della Pianificazione. L'urbanistica fu solo una delle sue tante passioni, si interessò anche di storia, filosofia, letteratura ed arte. È al suo personale rifinanziamento che si deve la rinascita della rivista ‘Urbanistica’. Nel 1953 decise di aprire una fabbrica di macchine calcolatrici a Pozzuoli offrendo posti di lavoro con salari sopra le medie ed assistenza alle famiglie degli operai, la cui produttività in questo stabilimento superò quella dei colleghi nella fabbrica di Ivrea. Nel 1956 fu eletto sindaco di Ivrea e due anni dopo ottenne due seggi in Parlamento candidandosi con il ‘Movimento Comunità’. Il suo voto fu rilevante per la fiducia al governo Fanfani. Nel 1957 la ‘National Management Association’ di New York premiò l'attività di direzione d'azienda internazionale di Olivetti.

Al momento del suo decesso, all'improvviso, il 27 febbraio 1960, una trombosi cerebrale lo stronca sul treno Milano-Losanna, l' azienda, fondata dal padre e da lui per lungo tempo diretta, vantava una presenza su tutti i maggiori mercati internazionali, con circa 36.000 dipendenti, di cui oltre la metà all'estero. Nel 1962 nasce la Fondazione ‘Adriano Olivetti’ per volontà di familiari, amici e collaboratori, con l’intento di raccogliere e sviluppare l’impegno civile, sociale e politico che ha distinto l’operato di Adriano Olivetti nel corso della sua vita.

                            Le foto di Paolo Terlizzi e Giovanni Pepe

GIUSEPPE SPASIANO