Nel nostro Belpaese poche cose vanno. Ma non sono sufficienti a risollevarlo.

10 agosto 2014 | 00:00
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Nel nostro Belpaese poche cose vanno. Ma non sono sufficienti a risollevarlo.

Ho scritto spesso che in Italia non funziona quasi niente o quel poco che funziona, funziona male e potrebbe funzionare meglio. Ma io sono un pessimista, che vede tutto nero, stato d’animo poco propizio a un Paese con tante gatte da pelare (la peggiore crisi economica e finanziaria dal secondo dopoguerra). Io mi difendo dicendo che il pessimista è un ottimista bene informato o, se preferite, è uno che  sa le cose o ha  l’intuito di prevederle. Una volta tanto voglio smentire la mia fama e vedere le cose che vanno. E’ una impresa difficile, se non disperata, ma che, con l’aria che tira, e tira una brutta aria, ha il dovere di compiere anche chi, di fronte a un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. O,  peggio, non lo vede neanche. Fra gli italiani ci sono tanti fannulloni, specialmente nello Stato e nel parastato, dove il posto è garantito. Dove le sanzioni esistono solo sulla carta, dove anche i fessi riescono a fare i furbi. Ma nella pubblica  amministrazione c’è chi fa il proprio dovere, e lo fa al meglio, e sono questi eroi anonimi, perché di eroi anonimi si tratta, che mandano avanti la baracca, o quello che ne resta. In certi uffici faccio code bibliche, perché gli sportelli mi rimbalzano da uno all’altro, in un’altalena che non finisce mai e che non fa onore alle istituzioni, fragili, anacronistiche, piene di muffa e di crepe.

Nella scuola grazie ai “formidabili anni del Sessantotto”, molti insegnanti

battono la fiacca, chiudono un occhio, lasciano correre. Gli allievi sempre più discoli, sempre più bulli fanno quel che vogliono, In aula pizzicano i glutei delle insegnanti in minigonna, fumano impunemente spinelli, si masturbano, giocano, telefonano, mandano messaggi. Mentre i docenti (cose realmente accadute che i giornali hanno invanamente denunciato), si addormentano sulla cattedra perché hanno fatto tardi la sera prima e cascano dal sonno, o litigano al cellulare con l’interlocutore di turno.

Docenti che non boicottano i somari, equiparati a  quelli bravi, perché, di fronte al sapere, come di fronte alla legge, siamo tutti uguali, mentre nessuno è uguale a nessuno, anche se tutti dovrebbero esserlo. Ma saremmo ingiusti se dimenticassimo gli insegnanti che fanno il proprio dovere (e sono tanti) che, nel limite del possibile e dell’impossibile, cercando di mantenere l’ordine in aula, che combattono il bullismo, rischiando essi stessi di restarne vittime. Insegnanti che sgobbano e non solo a scuola, ma anche a casa per correggere i compiti, preparare  le lezioni, che discutono con quei genitori prepotenti fino alla protervia, i quali non tollerano che i loro figli, asini matricolati, siano respinti o rimandati.

La giustizia, spartito che suoniamo da lustri, è una delle piaghe nazionali, e non da oggi. Né potrebbe essere altrimenti visto che abbiamo centocinquantamila leggi, contro le sei settemila delle democrazie occidentali, come la Francia, la Germania, la Gran Bretagna, Gli Stati Uniti. Un processo civile dura mezza dozzina di anni, uno penale anche il doppio. Complici i tre gradi di giudizio. Molti, troppi magistrati non nascondono le loro idee politiche, anzi le sbandierano come orifiamma. E questo non va, questo va malissimo, il giudice dev’essere al di sopra delle parti e, soprattutto, dei partiti. Se lo è, è un buon giudice.

Nelle procure e nei tribunali del Belpaese c’è gente che fa le indagini come Dio comanda, pronuncia arringhe, requisitorie, emette sentenze “sine ira et studio”, facendosi guidare solo dalle circostanze obiettive e dai fatti inoppugnabilmente documentabili. Non è una minoranza come si crede o si vuol far credere: è la maggioranza. Purtroppo, anche questi imparziali galantuomini devono fare i conti con un sistema penale macchinoso, con strutture antidiluviane, con un personale all’osso e immotivato. Anche la sanità, altro bubbone nazionale, langue e funghisce nell’inefficienza, favorita dall’inquinamento politico. Ma è possibile che il manager di una “azienda sanitaria” diventi tale solo in virtù di referenze politiche? Referenze che non sono referenze, ma arbitri del Palazzo. Quanti portaborse, ex galoppini elettorali, ex parlamentari trombati ai posti di comando delle Asl?. Conosco però, amministratori che sanno il fatto loro, di grande competenza e umanità. Come conosco medici che non tradiranno mai il giuramento ippocratico, al servizio dei malati e di questi soltanto. Insomma, qualcosa va. Ma non basta

Inserito da Alberto Del Grosso.