Gli uomini dei servizi segreti ed i confidenti di polizia
Come si sa, i regimi totalitari riescono spesso a trasformare i singoli cittadini in spie reciproche, è noto come nella Germania nazista, nella Russia di Stalin, nella Cina di Mao si giungeva al punto che i figli denunciassero i genitori o i coniugi si denunciassero fra loro. Alla base di questi comportamenti c’erano ragioni diverse come la fanatizzazione ideologica delle masse, l’odio personale verso il denunciato, il calcolo cinico di un vantaggio personale o, molto spesso, il timore di essere accusati dall’altro che dunque occorreva precedere.
In particolare, alcune categorie di persone erano istituzionalmente informatori degli organi di polizia: portinai, addetti al pronto soccorso, tenutari di bordelli, portieri d’albergo, ristoratori, osti, domestiche. Gente spesso ricattata professionalmente: il rifiuto di dare le informazioni richieste avrebbe potuto determinare la revoca della licenza di esercizio o la perdita del posto di lavoro. Questo tipo di informatori, però, normalmente non operava per conto dei servizi segreti veri e propri, ma per i normali organi di polizia o di una qualche milizia di partito, che, poi, provvedeva a segnalare i casi di maggiore rilievo alla polizia segreta.
Ma i confidenti non sono una esclusiva dei regimi totalitari: tutte le polizie del mondo vi fanno ricorso, anche se non si può confondere il Quas des Orfrèves con la Lubianka. Certamente, le polizie dei Paesi democratici hanno reti molto meno invasive di informatori. L’immagine negativa della spia, lo spregevole delatore verso cui grava la condanna morale diffusa, è spesso legata a questi piccoli informatori.
Nel Regno di Napoli, gli “infami” erano le prostitute e i mendicanti che facevano delazione su cose apprese proprio grazie alla loro attività socialmente spregiata. Ancora oggi, nelle regioni meridionali si usa l’appellativo di “infame di Questura” come somma ingiuria, e le BR definirono “infame” il loro primo pentito, Patrizio Peci. Sempre nel Regno di Napoli esisteva l’istituto del truglio, per il quale chi denunciava i propri compagni era graziato o la pena era sensibilmente ridotta: qualcosa di molto simile agli attuali collaboratori di giustizia, volgarmente detti “pentiti” altro termine spesso usato con connotazioni pesantemente negative. A Milano, ancora oggi, nella malavita è una rivendicazione d’orgoglio affermare “Mi sun di quei che parlen no!”, come dice la nota canzone di Strehler: “La riabilitazione della spia”, di cui abbiamo detto, non tocca questo genere di informatori.
Tutto questo ha avuto un riflesso non secondario anche sugli intellettuali: una sorta di “banalizzazione della spia”, che è una delle componenti di quella sottovalutazione dell’intelligence che abbiamo già sottolineato. Senza voler aprire un discorso sulla qualità morale del mestiere di informatore, qui ci preme sottolineare il diverso livello professionale dell’informatore dei servizi segreti rispetto a quello di questo tipo di confidenti. Basti constatare un dato: anche nei regimi più autoritari, gli informatori dei servizi sono un numero molto più ridotto di quello dei delatori comunemente intesi. Ad esempio, la polizia, la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e i carabinieri avevano molte decine di migliaia di confidenti, ma la polizia politica, si cui la temuta OVRA era un ispettorato, aveva un organismo di alcune centinaia di fiduciari, per cui il numero finale potrebbe arrivare un pò più sotto i diecimila, ma saremmo comunque molto al di sotto delle svariate decine di migliaia dei delatori comuni. Quanto all’Ufficio affari riservati, in epoca repubblicana, fra gli anni Cinquanta e il 1974 ebbe un organico complessivo di quasi centotrenta informatori.
Dunque si tratta di fenomeni ben diversi, ma non per questo del tutto estranei l’uno dall’altro. Infatti, le polizie ordinarie sono i principali componenti del sistema informativo all’interno del quale agiscono i servizi. Va detto che i rapporti fra polizie e servizi, spesso non sono cordiali e non mancano ruggini e rivalità di mestiere, ma pur sempre, esiste un rilevantissimo flusso di informazioni dalle une verso gli altri e viceversa. Ciò passa in parte attraverso rapporti personali fra ufficiali e funzionari delle une e degli altri, in parte per i rapporti di collaborazione istituzionale più o meno forzati, in parte per convenienza reciproca.
In ogni caso, le notizie che giungono alla polizia dai suoi piccoli confidenti, in buona misura finiscono nel flusso che arriva ai servizi. Pertanto, anche se è rarissimo che un confidente della polizia venga avvicinato da un agente dei servizi, non è esagerato considerare questi come una sorta di truppa ausiliaria di prima linea.
Alberto Del Grosso
Garante dei Lettori
Nota: Alcuni passi tratti da “Come funzionano i servizi segreti”