AMALFI QUASIMODO : QUI E’ FACILE DIMENTICARE LA MORTE E PENSARLA COME ECO CANGIANTE

14 giugno 2015 | 00:00
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AMALFI QUASIMODO : QUI E’ FACILE DIMENTICARE LA MORTE E PENSARLA COME ECO CANGIANTE

In  ricordo di Salvatore Quasimodo nel 47° anniversario della morte avvenuta ad Amalfi il 14 giugno 1968.

Quel giorno, drammatico per me, io l’ho ricordato così nel mio libro “QUASIMODO AMALFITANO”.

“Gli avevo chiesto di fare il Presidente della Giuria del “Premio di poesia Amalfi”. Aveva  accettato. Gli altri giurati erano: A. Butitta, Piero Chiara, Alberto Moriconi, Corrado Piancastrelli, Adriano Spatola ed io. Avevamo ultimato i lavori il 13 giugno, nel pomeriggio inoltrato. L’indomani ci sarebbe stata la cerimonia ufficiale della premiazione ai vincitori: Gilberto Finzi e Grytzko Mascioni. Invece nella mattinata del 14…..

Feci  in un attimo. Arrivai  ai Cappuccini con il cuore in gola. Mi avevano telefonato a scuola: ”Correte – mi  dissero – Quasimodo sta male!”

Mi guardò con l’occhio quasi spento. Fece in tempo a dirmi “Farò la fine del povero Birolli”. Il dottor Luca Iovene fu bravissimo. Fece quanto umanamente era possibile fare; e quanto esperienza e scienza ne consentivano. Il  Maestro  rispose positivamente alle prime cure. Ma il caso era grave. “Ictus” – sentenziò  il medico. Un rapidissimo consulto e chiamammo il prof. Ganger, quanto di meglio  disponibile sulla piazza di Salerno nel campo della neurologia. Arrivò piuttosto presto. Relativamente al traffico della statale 163. Confermò diagnosi e gravità del caso. Ciò nonostante decidemmo per il trasporto a Napoli, per un estremo disperato tentativo. L’unica ambulanza di Amalfi era impegnata in un altro ricovero d’urgenza. Ricorremmo ad un’auto a noleggio. Io dietro, sulla mia auto, una Fiat 124, e con la presenza rassicurante del dottor Iovene volai  a clacson spiegato verso Napoli. Quasimodo era  privo di conoscenza già da quando avevamo dovuto trasportarlo sulla lettiga giù per Via della Canonica (la cabina dell’ascensore non conteneva  la lettiga). Andrea Gambardella, uno dei camerieri, mi guardava incredulo e commosso. Il  fasto sfacciato del sole di giugno era un oltraggio al mio cuore a lutto.

Alla Clinica Mediterranea di Mergellina, ci  aspettava il prof. Castellano, precedentemente allertato e pronto ad entrare in sala operatoria. Non ce ne fu bisogno. Scosse il capo e fu il segno inequivocabile della sentenza. Allestimmo la  camera ardente nella morgue della clinica, fredda ed essenziale nella nuda semplicità. Mi sciolsi in un pianto liberatorio. E furono lacrime d’amore sul corpo ancora caldo dell’Amico e Maestro. Noi due soli, prima che la notizia sparata sui dispacci di agenzia popolasse la clinica della Napoli della ufficialità, delle  Istituzioni e della Cultura.

Era il primo pomeriggio del 14 giugno del 1968.

Ed io, spaurito e sgomento, a ricevere le condoglianze di Prefetto e Questore, Sindaco e Presidente della Provincia e scrittori e giornalisti, editori ed amici increduli. E quella telefonata di rimprovero dalla Presidenza della Repubblica: ”Perché non lo ha ricoverato in uno degli ospedali di Amalfi?, mi tuonò una voce autorevole (forse quella del Prefetto Picella). Ed io, con la morte nel cuore, a precisare  garbato ma fermo: ”Ad Amalfi e nella costa non ci sono ospedali e neppure un pronto soccorso attrezzato. E lei dovrebbe saperlo”. E troncai il dialogo. La polemica riprese ingiusta ed ingenerosa  contro di me e contro i medici, ma il maldestro tentativo di protagonismo sulla drammatica morte di un Grande fallì miseramente.

L’indomani la bara issata a trofeo d’amore e di cultura sulle spalle degli amici napoletani (ricordo Claudio Angeloni e Alberto Marotta; io non ebbi la forza di sottopormi al rito) prima della partenza per Milano fu lacerazione di ferita profonda. Difficile da rimarginare. E il pensiero volò ai profumi delle essenze mediterranee di Amalfi, dove, come Lui aveva scritto appena qualche anno prima. “è facile dimenticare la morte e pensarla come eco cangiante delle grotte e dei calanchi  o quando il mare è in tempesta e la voce delle sirene diventa di minaccia e in alto le nuvole si frantuman correndo verso un orizzonte più oscuro”.
Fin qui il mio ricordo del giorno della morte del Maestro tratto dal mio “Quasimodo Amalfitano”. Qualche anno dopo in ricorrenza di  un altro anniversario, il 35° del 2003, scrissi i versi in ricordo dell’Amico/ Maestro che, reitero, a futura memoria, anche oggi in occasione del 37° anniversario: ”L’insolenza del sole a mezzo giugno/mi denudò, crudele, il  cuore a lutto/Il mare miscelò lo iodio e il sale/a friggermi ferita da dolore/E sui Lattari a cupole di cielo/zagara e mirto a gara di profumi/scortarono il tuo canto a folle volo./Mi salutasti a smorfia di sorriso/eredità d’amore senza voce./E fu per te per me “subito sera”.

Giuseppe Liuccio

g. liuccio@alice. it