Gli spretati. Quando un sacerdote lascia per amore… ” di Davide Romano
Riceviamo e pubblichiamo cosi come ricevuto
I picchi di richiesta di dispensa dall’esercizio del ministero si sono avuti nel 1976-77, quando ne sono state inoltrate da 2500 a 3 mila. Attualmente se ne concedono da 500 a 700 l’anno. Negli ultimi anni sono aumentate quelle da parte dei sacerdoti ordinati da un solo anno, in alcune diocesi si raggiungerebbe addirittura una percentuale del 50 per cento.
Ma dietro alle discussioni sui numeri spesso si celano storie di sofferenza causate da una dura lex canonica a cui sembra si sacrifichi volentieri l’uomo e non viceversa.
«Quando sono andato dal mio vescovo per dirgli che mi ero innamorato e che volevo lasciare il ministero, lui mi ha risposto che per bere un bicchiere di latte non era necessario mettersi una capra in casa. Allora ho capito che la mia compagna era la cosa più pulita che mi fosse rimasta». Ha voglia di raccontare e raccontarsi Paolo, ma a patto che il suo vero nome non venga fuori. «Se sanno che ho parlato con un giornalista – spiega – mi tolgono la cattedra di religione che mi hanno dato per vivere, dopo che ho lasciato il ministero».
Come lui, anche gli altri preti sposati, incontrati in un viaggio in una sorta di Chiesa clandestina, hanno accettato di parlare, con l’unica eccezione di soli tre casi, sempre con la condizione che non venisse fatto il loro nome e che non fossero resi riconoscibili dalle storie che raccontavano. Perché hanno paura delle ritorsioni da parte della gerarchia. Sembrerebbe che una “certa” cultura si sia insinuata anche nei rapporti fra pastori e sudditi. Ci sono anche numerosissimi casi di vescovi che seguono con particolare attenzione le vicende dei sacerdoti che smettono la tonaca.
Ma i preti sposati nelle città ci sono e dicono pure messa nelle loro case. Le chiamano «chiese domestiche», con tanto di fedeli e sacramenti, compreso il battesimo e la confessione. Alcuni di loro concelebrano anche, ma con discrezione, nelle parrocchie di presbiteri amici. Eppure pochi sanno che esistono e non se ne parla mai sui mezzi d’informazione cattolici, naturalmente.
«Quando te ne vai – dice uno di loro – in mano ti trovi solo una laurea in teologia, un titolo che lo Stato non riconosce neppure. E, con la tua nuova situazione, spesso con un bimbo in arrivo, magari a quarant’anni suonati, non puoi fare lo schifiltoso. Accetti le loro condizioni e ti metti in un angolo. Perché è questo quello che vogliono: che tu scompaia».
In genere, infatti, le cattedre vengono assegnate in diocesi vicine dove non sono conosciuti. Ma non tutti ottengono l’insegnamento.
«Dipende – spiega Salvatore – dalla rapidità con la quale ottieni la dispensa per sposarti, perché, finché il processo canonico non si chiude, non puoi fare nulla. Io, ad esempio, ho fatto i lavori più umili per diversi anni perché la mia richiesta non era “spinta” a Roma da nessuno. E poi dipende anche dal vescovo perché è lui che patrocina il tuo caso e, se non siete in buoni rapporti o non ti stima, ti devi rassegnare e cambiare aria».
Ma ci sono anche quelli che non ci riescono ad attendere i tempi, è il caso di dirlo, biblici, circa dieci anni, e che perdono la fede o cambiano Chiesa.
È il caso di Mauro che, dice lui, in un momento di disperazione è diventato pastore in una Chiesa protestante. «Quando sanno che hai abbandonato il ministero – racconta – sono i primi ad aprirti le porte». Adesso Mauro è rientrato nella Chiesa cattolica, ma è considerato un apostata e i tempi del suo processo si stanno sensibilmente allungando.
Fausto ha 37 anni, e ha lasciato l’abito dopo un solo anno dall’ordinazione. È sposato con una fervente cattolica. Ma solo in municipio: davanti a Dio non può, perché aspetta da anni una dispensa papale che non arriva mai. Vive con sofferenza l’impegno che profonde con la moglie in parrocchia. Sono peccatori e non possono accedere ai sacramenti. Neppure alla confessione: per la Chiesa, chi si sposa davanti al sindaco è un concubino.
Don Franco Maggiotto, 70 anni, sposato da più di trent’anni, vive ad Alpignano, vicino Torino. «Innanzitutto – esordisce – rifiuto decisamente la qualifica di ex prete. Al momento della mia ordinazione, mi hanno ripetuto fino alla nausea che sarei stato sacerdote in eterno. Sono prete, non ho mai smesso la tonaca, e sono felicemente sposato». Non ha ovviamente alcun rapporto con la curia vescovile di Torino, ma a lui questo non importa. È animatore di tre comunità di base, una a Finale Ligure e due in provincia di Torino. Ha rotto con la chiesa ufficiale dopo una drammatica esperienza vissuta da un suo confratello verso la fine degli anni ‘60. Un prete si innamorò perdutamente di una giovane donna. Per le pressioni e le violenze subite da entrambi, questo prete si impiccò e la ragazza impazzì. «Per me – racconta don Franco – fu un’esperienza terribile che mi portò a rifiutare un modo di intendere il sacerdozio antiumano, non biblico, perché in realtà proibisce all’uomo di incontrare l’altro. Nella Bibbia si afferma che “Non è bene che l’uomo sia solo”, sono le gerarchie cattoliche ad essere nell’errore non i preti che si sposano». Ma la critica di don Franco si accentra principalmente su quello che lui definisce “il sistema platonico”, quel sistema che, rinchiudendo l’uomo su se stesso, ne impedisce appunto l’incontro con l’altro e quindi gli fa negare l’essenza stessa del messaggio di Cristo, facendolo diventare pedofilo oppure omosessuale. «Questa realtà – afferma don Franco – la si può toccare nell’elevato numero di preti gay o pedofili di cui in Italia non si parla, ma che riempiono le cronache giornalistiche di altre nazioni».
Paolo Falcone è un prete sposato della diocesi di Roma. «Spesso nei discorsi tra vescovi e preti sposati – ricorda – si sente dire “continua a pregare, ti ricordo nelle mie preghiere, il Signore ti accompagni” e via con altre balle spaziali. Una cosa che non si sente mai è “ti aiuterò per i tuoi diritti, parlerò della tua situazione economica al commercialista o all’economo della diocesi, tutelerò i tuoi diritti acquisiti…”». «Io per lo meno – sottolinea – sono stato abbandonato completamente. Sono stato nel ministero dal 1988 al 1996. Poi dopo tre anni di esercizi spirituali, senza una storia, sono venuto via dal ministero pastorale. Nessuno che mi abbia dato nessuna possibilità. Dopo un po’ scrissi a tutti i cardinali residenti a Roma chiedendo di aiutarmi a sopravvivere. Mi dissero che non conoscevano nessuno, che non avevano nessuna possibilità nemmeno di ascoltarmi e che comunque avrebbero pregato per me». «Dopo anni di stenti e ancora grosse difficoltà – aggiunge –, sto vivendo un momento con mia moglie abbastanza sereno, anche se sempre sul “trapezio”. Vorrei chiedere a chi conosce meglio questa realtà, se esiste un modo per avere i contributi previdenziali e i versamenti del Tfr previsti dalla legge italiana». «Ho un grande sogno – confessa –, costituire un sindacato preti sposati per iniziare una trattativa con la Cei per chiedere i nostri diritti maturati e avere per lo meno il trattamento di fine rapporto, oppure iniziare una serie di vertenze al giudice del lavoro visto che alla chiesa gerarchica abbiamo dato i migliori anni della nostra vita e abbiamo ricevuto “calci in faccia” e belle parole».
Ma ci sono anche le donne dei preti: le «tentatrici», le «rivali di Dio». Come le ha chiamate qualcuno. Rosa è una libera professionista, affermata e stimata, ha un fidanzato col quale progetta di sposarsi, ma quando era ancora una studentessa ha avuto una storia con un giovane prete.
«Un giorno, però, ho scoperto che aveva anche altre ragazze, cinque o sei – ricorda –. Poi è scoppiato lo scandalo subito coperto dalla Curia. Lo hanno mandato fuori a meditare e studiare, poi è tornato qui a continuare quello che faceva prima, adesso so che l’hanno spedito per punizione a fare il vice parroco in un’altra diocesi. Tutto questo mi è servito a capire che certi uomini non pagano mai per i loro errori, a patto però che siano ecclesiastici». Già non molto considerate all’interno della Chiesa, le donne che si innamorano dei preti vengono spesso maltrattate.
È il caso di Gianna, sposata, un marito lontano, e due figli già grandi, che ha commesso l’errore di aspettare un bambino da un parroco di frontiera. Lui ha improvvisamente scoperto la vocazione missionaria, e per questo è stato spedito in America Latina, mentre lei si è trovata a gestire da sola una situazione drammatica. La Curia è intervenuta per darle una mano soltanto quando lei ha minacciato di fare scoppiare lo scandalo. Prima l’avevano liquidata come «pazza».
Situazione simile a quella di Laura che, stanca di essere relegata al ruolo di amante con un bambino di pochi mesi da crescere, un giorno ha preso «il frutto del peccato» e lo ha portato nella chiesa dove il suo lui celebrava. Vedendolo così solenne e ieratico che benediceva, racconta, non ce l’ha fatta più ed è esplosa. Com’è finita? Il reverendo, notissimo teologo di orientamento progressista, è andato a insegnare in una prestigiosissima istituzione accademica ecclesiastica in un’altra città, a lei è stato promesso un “sostegno” purché tacesse. Situazione che ha accettato ma, commenta, con il cuore davvero a pezzi. Storie di sofferenza, quindi, di umiliazioni e di abbandoni che raramente approdano alle pagine dei giornali o all’attenzione dei media in un Paese, l’Italia, in cui la Chiesa cattolica ha un enorme potere come in nessun altro oggi.
È vero, ammette il teologo e storico della Chiesa don Francesco Michele Stabile «il problema è che non se ne parla perché a “certe cose” non bisogna neppure far cenno se non nel chiuso delle Curie. I vescovi, infatti, non comunicano in Vaticano nemmeno i numeri degli abbandoni. E quelli che lasciano vengono ridotti al silenzio ed emarginati».
Basterebbe, suggerisce Giovanni Franzoni, ex abate benedettino e uno degli indiscussi protagonisti del rinnovamento conciliare nella Chiesa, «ritornare alla semplicità evangelica d’altronde applicata senza problemi dalle Chiese Orientali, dai Protestanti e persino dai cattolici della chiesa romana di rito orientale: il prete deve avere la libertà di vivere la propria vocazione di servizio o nel celibato scelto liberamente o nel matrimonio. L’amore umano non è concorrenziale all’amore per Dio».
A conferma di ciò, scorrendo i dati relativi alle defezioni degli ultimi anni, salta subito all’occhio l’assenza di abbandoni nella piccola ma antichissima eparchia greco-cattolica di Piana degli Albanesi, in provincia di Palermo, in Sicilia.
«Noi seguiamo la consuetudine della Chiesa dei primi secoli e di quella Ortodossa – spiega l’eparca emerito Sotìr Ferrara. In decenni di episcopato, non ho mai avuto un prete che lasciasse perché da noi possono diventarlo anche gli uomini sposati. Anzi, questi, come dice esplicitamente San Paolo, sono anche i migliori presbiteri perché più realizzati umanamente e affettivamente più sereni. La Chiesa latina, invece, nonostante l’emorragia continua di chierici, si ostina a mantenere una legge che è solamente umana e che non ha nessun fondamento né nel Vangelo né tantomeno nella Tradizione».
In verità, una speranza in passato si era intravista quando il primate d’Inghilterra, il cardinale Basile Hume, recentemente scomparso, aveva proposto allo stesso Papa di concedere, in occasione del giubileo dell’Anno santo del 2000, “un’amnistia verso i preti sposati” riammettendoli al ministero. Il porporato inglese aveva presente la situazione, che costituiva quasi un precedente giuridico, di numerosi preti passati dalla Chiesa anglicana a quella cattolica con tanto di moglie e figli. La richiesta però era stata fatta cadere nel vuoto. (di Davide Romano)
Davide Romano – giornalista
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Pubblicato da Alberto Del Grosso
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