Riceviamo e pubblichiamo
Racconto di Luigi Rezzuti
Vincenzino era nato in una famiglia molto povera ma assai dignitosa. Abitava in un vicolo di Napoli di un quartiere popolare.
La mamma si disperava perché Vincenzino era molto svogliato, amava soltanto giocare a pallone in strada.
Frequentava l’azione cattolica solo perché nella sede c’era il bigliardino, il tavolo di ping – pong e diversi altri giochi.
La domenica, su richiesta del parroco, serviva la S. Messa ma lo faceva contro voglia. Era il parroco che gli suggeriva cosa fare, quando suonare la campanella per invitare i fedeli ad inginocchiarsi, quanto vino ed acqua doveva versare nel calice.
Non avendo imparato le preghiere faceva finta di recitarle mormorando parole indecifrabili.
Vincenzino amava molto il mare e durante l’estate andava con la famiglia al lido “mappatella” sul lungomare di Via Caracciolo e qualche volta ci andava anche da solo marinando la scuola.
Un giorno il parroco della chiesa, che frequentava, organizzò un ritiro spirituale ad Itri presso un convento di monaci di clausura.
Il monastero si trovava su una collina da dove si poteva ammirare un panorama mozzafiato e in lontananza si vedeva anche il mare.
Il ritiro fu organizzato appena le scuole furono terminate, circa una trentina di ragazzi tra i 14 e i 18 anni partirono di buon mattino in pullman per il monastero; faceva caldo, era una bella giornata di fine giugno e il parroco decise di fare una tappa per una passeggiata su una spiaggia libera.
Vincenzino, che amava molto il mare non ci pensò due volte: si tolse la maglietta, i pantaloncini e, senza costume, ma con le mutande, si tuffò in mare, cosa che fecero in molti mentre il parroco sorrideva divertito.
Il ritiro spirituale per i ragazzi non fu altro che una bellissima gita.
Durante quell’estate Vincenzino costrinse la mamma ad accompagnarlo tutti i giorni al lido “mappatella” dove rimaneva sulla spiaggia a giocare fino a tarda ora.
La mamma portava dei panini con mortadella e formaggio per colazione e delle bottiglie di acqua per dissetarsi.
Purtroppo, per le troppe ore di esposizione al sole e per un suo problema di melanina si scottò al punto tale da procurarsi delle vere e proprie piaghe.
Una mattina, mentre Vincenzino costruiva un castello di sabbia in riva al mare, passarono, correndo, alcuni ragazzi che schizzarono dell’acqua di mare sulle spalle bruciate dal sole.
Vincenzino avvertì un forte bruciore e inveendo contro quei ragazzi che involontariamente gli avevano schizzato l’acqua di mare esclamò : “Mannaggia ‘a marina ‘o cuotto ‘e sole”.
Una frase in napoletano che, in un primo momento, sembrò una semplice reazione, poi, analizzandola bene, quella espressione non faceva altro che descrivere il dolore: “Mannaggia ‘a marina” era riferito agli schizzi dell’acqua di mare e “?o cuotto ‘e sole” era riferito alle piaghe che aveva sulle spalle per colpa del sole, cioè al suo corpo cotto dal sole.
Certo è che il dialetto napoletano e la fantasiosa espressione di Vincenzino dicono tutto.
Pubblicato da Alberto Del Grosso
Giornalista Garante dei Lettori
del giornale Positanonews