SULLE ORME DEI MONACI : SAN MAURO LA BRUCA E SAN NAZARIO

23 maggio 2016 | 00:00
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SULLE ORME DEI MONACI : SAN MAURO LA BRUCA E SAN NAZARIO

S.Mauro La Bruca è una terrazza di uliveti spalancata sul corso del Basso Lambro e sul mare dei miti di

Caprioli e Palinuro. Sono tanti i turisti che, d’estate, lasciano la costa affollata e s’inerpicano fin quassù alla

ricerca di refrigerio tra il verde delle colline e delle montagne e di cibi genuini in accoglienti trattorie di

campagna. Ed agli appassionati di storia locale non mancano le sorprese di natura culturale. E dagli antichi

archivi emergono le figure dei Cavalieri di Malta che qui ebbero un feudo che si estendeva fino a Rodio, la

silenziosa frazione di Pisciotta sospesa tra cielo e mare, dove un maestoso Palazzo fa bella mostra di sé

nella minuscola piazza. E ti incanta con quei mascheroni da sberleffo birichino. Chissà come erano finiti fin

qui i Cavalieri di Malta a reclamare tributi da poveri contadini sudditi e a fare incetta di prodotti della

terra:olio e fichi, castagne ed ortaggi e miele squisito per pasticceria di qualità. Ecco un tema di ricerca

interessante per universitari alle prese con tesi di laurea originali, per giovani studiosi desiderosi di

esplorare periodi pressoché sconosciuti e, perché no, per accademici affermati inariditisi nella ripetizione

stantia di vecchie ricerche e a cui dovesse rispuntare un guizzo di antichi orgogli culturali.

Ma San Mauro La Bruca parla anche di monaci italo greci, che qui collocarono sacre icone lungo la “Strada

dei Monaci” e fondarono laure e cenobi sul “Monte dei Monaci”. Ed il loro passaggio è ancora oggi ben

visibile nella bella cripta a croce greca della chiesa di S.Eufemia, dove è possibile ammirare, tra l’altro,

interessanti affreschi d’arte popolare raffiguranti episodi della vita della Santa. Pare che in questa chiesa si

praticasse il rito greco fino al XVII secolo.

Ma chi avesse voglia di approfondire la conoscenza del monachesimo orientale e rifare i percorsi dei

monaci italo-greci non ha che da spostarsi di qualche chilometro e raggiungere S.Nazario, poco più che un

pugno di case a corona della Chiesa Madre, dedicata al Santo che dà il nome al paese. Poche centinaia di

anime, le cui speranze di sopravvivenza sono legate alle “buone annate” degli uliveti, allo smercio delle

castagne delle vicine montagne, alla laboriosa fecondità delle api nelle arnie e, da qualche anno a questa

parte, alle incursioni dei turisti dalle coste scintillanti di vita mondana di Caprioli di Pisciotta e Palinuro.

Gli abitanti sono legatissimi al loro Santo Patrono e ne venerano, con feste a più riprese lungo il corso

dell’anno, le sacre reliquie trasferite dalla lontana Milano in questo angolo di mondo del Cilento. Qui

approdò da Rossano di Calabria S.Nilo per vestire l’abito monastico nella locale abbazia, conosciuta ed

apprezzata in tutta l’Italia Meridionale e non solo. Con la vicina Abbazia di Eremiti esercitò una influenza

notevole su tutto il territorio, assolvendo al ruolo di centro di vita religiosa, di attività culturale, di mercato

per lo smercio dei prodotti agricoli. La presenza di un personaggio come San Nilo, figura di santo e di uomo

di cultura dalla forte personalità ,attirò l’attenzione sull’Abbazia di San Nazario di tutto il mondo politico e

religioso. S.Nilo fu un innologo apprezzato ed un raffinato calligrafo, tanto che nel Medioevo gli amanuensi

riscrissero Sacre Scritture e libri di preghiera in stile “niliano”.

E l’Abbazia di San Nazario fu nota anche per una piccola industria, creata e sviluppata ad opera dei monaci

e favorita dalla posizione del luogo, dalla facilità di allevamenti per la presenza dell’acqua corrente e di

pascoli adatti: “la concia delle pelli” di capre e pecore. Se ne ricavavano “pergamene” che esperti

amanuensi utilizzavano per trascrivere libri di cultura e di preghiera. Esistono ancora oggi, non lontano dalla

chiesa parrocchiale, tre vasche per la concia delle pelli, dalla tradizione popolare chiamata “concia dei

monaci”

Ecco un altro capitolo di storia tutta da riscrivere per rispondere ad una serie di interrogativi

legittimi:Quando e perché iniziò la decadenza dei centri di vita monastica e culturale dei monaci italo-greci?

Dove sono finiti i testi pazientemente trascritti dagli amanuensi? Come e quando sono cessate feconde

attività economiche, artigianali, agricole, introdotte e potenziate dal monachesimo orientale? Quando e

perché è cessata la coltivazione delle erbe officinali, che rese utile e fiorente la farmacopea monastica?

Sono interrogativi che aleggiano sul territorio delle valli del Lambro e Mingardo, dove i monaci basiliani

esercitarono il loro magistero di evangelizzazione e di cultura, ed attendono risposte da studiosi innamorati

del Cilento e della sua storia. Secondo me, amministratori ed imprenditori del territorio, a cominciare da

quelli di San Mauro e a finire a quelli di Centola Palinuro e di Pisciotta/Caprioli e , via via, di Ascea, da un

lato, e di Camerota, dall’altro, il problema dovrebbero porselo e, possibilmente, cominciare a dibatterlo

seriamente per avviarlo a soluzione, nella consapevolezza che un territorio che non ama, riscopre ed esalta

il proprio passato, ha un precario presente e non ha un futuro. La “provocazione”, nel senso letterale del

termine=chiamare a raccolta in difesa di….) è lanciata. Si attendono reazioni/risposte positive