Napoli, Sarri, tre casi da risolvere

17 ottobre 2016 | 00:00
Share0
Napoli,  Sarri, tre casi da risolvere
Napoli,  Sarri, tre casi da risolvere
Napoli,  Sarri, tre casi da risolvere
Napoli,  Sarri, tre casi da risolvere


Gabbiadini ha bisogno di ritrovare se stesso Jorginho e Insigne sembrano aver perso smalto

Maurizio Sarri, 57 anni, sabato contro la Roma ha subito la seconda sconfitta in campionato 


Sono ventuno i centri di Manolo Gabbiadini con la maglia del Napoli. Il primo sigillo è arrivato a febbraio 2015 nella sfida esterna contro il Chievo Verona.Manolo Gabbiadini, 24 anni. È arrivato al Napoli a gennaio 2015. 14 le reti in A in azzurro 
Ultima chance per Manolo – Mica gli è stato chiesto di (ri)fare Higuain: basterebbe a chiunque che fosse, semplicemente, naturalmente, Manolo Gabbiadini, il bomber della porta a fianco, quello che ne ha segnati undici in quattro mesi appena arrivato a Napoli. Poi, dicono le pressioni, lo stress da prestazione, la cappa di uno stadio. Quello era il san Paolo e lì ci giocava quest’uomo triste che non riesce a ritrovare se stesso, che si perde e si recupera per un istante – quello d’un gol, che sia al Frosinone (anno scorso) o al Chievo (tre settimane fa) – e poi si smarrisce dentro a uno schema, il 4-3-3, che gli sta largo o stretto, perché non s’è capito bene. E comunque, fuori di nuovo, per la quarta volta, però consapevole d’aver dato poco, per riuscire a convincere che si potesse insistere. Il caso è aperto, ahilui, ma si può richiudere rapidamente, lo spiega il calcio nelle sue antiche convenzioni: a volte basta poco, un tap in, un colpo di genio (e Gabbiadini ne ha), per chiudere la pratica. E con il Besiktas, of course, tocca di nuovo a lui, all’unico vero centravanti che il Napoli ha, dopo aver perso Milik: quel bomber per il quale s’erano accapigliati prima l’Inter e poi il Wolfsburg, ventisette milioni di euro sull’unghia. Ma che non siano rimpianti. 

Jorginho, 24 anni, alla terza stagione al Napoli. Ha totalizzato 99 presenze e 2 go
E’ con le ombre che bisogna saper convivere: quelle che il destino, anzi il nemico, ti sistema addosso. Ma Jorginho, ch’è stato «braccato» da chiunque e sempre, pure quando il Napoli giocava leggero intorno a lui, ha smesso di liberarsi di quelle presenze angoscianti, uomini che ti tolgono l’aria e l’erba di dosso. E’ rimasto regista, nella accezione moderna, e però non scova, nella sua macchina da presa, nel ciak, l’azione giusta: gli vengono quelle orizzontali, corte, gli mancano quelle illuminanti, una verticalizzazione, il lancio a cercare l’esterno oltre la linea dei difensori altrui. E’ la frazione di gioco che gli è venuta meno, non la volontà, né la dedizione: e quando tutto s’annebbia intorno a sé, persino la più semplice ciabattata, un «piattone» a porta vuota da sistemare per il 2-3 con la Roma ed una difficile e quasi impossibile rimonta, finisce tra le nuvole. Ma non è cambiato (quasi) nulla, né la costituzione del centrocampo, né la ricerca delle soluzioni: forse ci sono meno profondità e comunque con un Nainggolan o un trequartista pronto ad inaridirti è stata convivenza fissa, per un anno ed anche più. Ma, «step by step», serve un passo in avanti. Un altro. 


Lorenzo Insigne,  25 anni. Nella scorsa stagione 13 gol tra campionato ed Europa League
C’era una volta lo scugnizzo… Però, vabbé, mica è passata un’eternità… Un anno fa, ed era di questi tempi, ed era questo Napoli, peraltro modificato in corsa, cinque reti realizzate ed una presenza attiva negli schemi: non soltanto veroniche e antichi merletti. Ora, c’è un sorriso stampato nella memoria e la voglia matta di interrogarsi ancora, per capire cosa sia successo a se stesso, a Lorenzino Insigne, che avverte d’essersi infilato in un caso assai strano per la propria natura. Eppure gioca dove vuole, gioca come vuole, sta dove l’aveva sistemato il suo Maestro – Zeman – che tra Foggia e Pescara l’ha plasmato da terzo di sinistra; e gioca, come se stesse ricalcando la propria immagine, nel Napoli che Sarri ha cucito addosso anche a lui, al suo monello, che sa fintare, dribblare e poi chiudere con un assist. Siamo a quattro, però sempre pochi sono rispetto allo zero nella casella dei gol, perché un attaccante – si sa – campa per quello e ne avverte la mancanza. Sono volati via dodici mesi (appena) ma mica possono aver trascinato via anche il talento: quello resta inchiodato nella carne e prima o poi sarà necessario saperlo tirare fuori. 

L’idea, all’improvviso, non basta più: diventa esercizio stilistico, rimane persino fine a se stesso. E’ una pennellata che sporca la tela del passato e trasforma ciò ch’è stato – e la chiamavamo Grande Bellezza – in domande che chiedono risposte. Lo diceva Mazzone, che bello il calcio se non ci fossero le partite e, forse, guai ricordarlo a Sarri, che nel suo Napoli ha specchiato se stesso e la felicità d’uno stadio, rimasto incantato talmente tanto da “sopportare” la prima sconfitta interna dopo diciassette mesi senza che s’alzasse un fischio. E’ ancora 4-3-3, però c’è pesantezza (mentale), magari anche il retaggio d’un turn-over assai blando nel quale ad Hamsik è stato risparmiato nulla e a Diawara e a Rog è stato concesso niente; è sempre un football che ha un suo profumo, una manifestazione d’eleganza, la ricercatezza nella giocata, il tiki taka (ma su ritmi meno incessanti). Però, mica soltanto perché lo dicano i numeri, è un altro Napoli, che qualcosa ha perso per meriti altrui e qualcosa deve ritrovare per intuizioni proprie. E’ un Napoli al quale sta mancando la lucida interpretazione di Jorginho, capace a Verona, giusto un anno fa, di giocare 218 palloni, una enormità in termini assoluti, un lusso per cifra espressiva. E’ un Napoli che, avendo perduto Higuain, l’esaltazione di se stesso e poi Milik – in teoria – il suo sostituto, non insegue eredi ma la scioltezza che Manolo Gabbiadini fatica a scovare nelle pieghe di se stesso, affossato com’è da una spada di Damocle che il san Paolo non gli ha mai lasciato intravedere. E’ il Napoli che ha meno spregiudicatezza, si direbbe anche sfrontatezza, in Insigne, per rendimento e per inventiva e per altro ancora (in gol ad esempio) un filo dietro a quel genietto riemerso dalla lampada di Sarri, nel momento in cui fu soppresso il rombo e comparve il tridente. C’è tutto in quell’«Idea», il possesso, lo scivolamento, l’aggressione degli spazi, e magari manca la rapidità di corsa e di pensiero e Jorginho, Insigne e Gabbiadini: classe ‘91, dicono sia di ferro. 

fonte:corrieredellosport   michele de lucia