Prandelli – Valencia un altro mondo

18 ottobre 2016 | 00:00
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Prandelli –  Valencia un altro mondo

«Lotito? Mai più sentito. I dirigenti italiani dovrebbero farsi un esame di coscienza»

Un altro mondo. «Fatto di famiglie che vanno allo stadio vestite con le maglie del club, tifosi avversari che non insultano, partite dove si gioca a calcio fino alla fine, anche se il risultato è ormai andato. Una meraviglia». Possibile che ogni allenatore italiano che lascia i nostri confini e comincia a lavorare all’estero si senta subito conquistato dal nuovo calcio? Dovremmo pensarci, in Italia. Il mondo di cui parla Cesare Prandelli è quello della Liga, dove è arrivato da un paio di settimane e ha vinto subito, al debutto, per di più in trasferta. Ma non è per questo che racconta con entusiasmo l’ambiente che lo ha accolto. Se allenatori come Ranieri e Ancelotti non hanno la benché minima nostalgia del calcio italiano una ragione deve esserci per forza. 
Prandelli ha vinto col Valencia, proprio la prima squadra straniera di Ranieri. Due a uno a Gijon contro lo Sporting. Ma è dalla città, dal club e dalla sua struttura che vuole iniziare. «E’ una città da un milione di abitanti, però per spostarsi da una parte all’altra ci metti pochi minuti. Il centro sportivo è a Paterna, quindici chilometri dal centro. E’ come se da Firenze dovessimo andare a Prato, ma senza il traffico dei viali. La struttura è fantastica. Ci sono almeno 15 campi da calcio, c’è un piccolo stadio dove gioca il Valencia B con una tribuna da 5.000 posti a sedere. Il club ha tutto: la tv, la radio, una squadra di fotografi, riprendiamo gli allenamenti dall’alto e li possiamo rivedere subito. I software per le analisi delle partite e dei giocatori sono dell’ultima generazione. E’ davvero eccezionale. E domenica sera è capitata una cosa bellissima, mai vissuta prima. Quando siamo arrivati a Paterna, all’una di notte, col pullman di rientro da Gijon, c’erano tutti i ragazzi delle giovanili ad aspettarci alle finestre delle loro camerette, applaudivano e facevano i cori ai giocatori. Il centro era tutto illuminato. Mi sono emozionato, c’è un senso di appartenenza molto forte». 

Si è emozionato anche al fischio d’inizio di Sporting Gijon-Valencia? Erano quasi due anni che non andava in panchina… 

«L’impatto è stato forte, ma appena è iniziata la partita è come se non fossero passati quei due anni, come se avessi lasciato la panchina due giorni prima. Ho ritrovato tutto subito». 

Come parla ai giocatori? E soprattutto, come va con lo spagnolo? 

«Mi hanno suggerito di parlare l’“itagnolo”, qualche parola di spagnolo, poi un po’ di italiano. Quando parlano piano, capisco tutto. Sto studiando». 

Due a uno al debutto, doppietta di Mario Suarez, un ex viola. 

«Lo avevo visto giocare a Firenze nella stagione scorsa, ma trovarlo a Valencia è stata una fortuna. La sua disponibilità è incredibile, nei primi giorni mi ha aiutato anche con la traduzione durante gli allenamenti. Come giocatore è forte, vede gioco, capisce cosa fare e come muoversi prima di tanti altri. I suoi due gol sono stati un bell’inizio per tutti noi». 

Anche in Italia si parla di Joao Cancelo come di un fenomeno. 

«Ha 22 anni e può diventare un giocatore pazzesco. Ha una potenzialità straordinaria, un’accelerazione incredibile, ma deve crescere, deve completarsi. A Gijon l’ho fatto giocare come esterno davanti a Montoya, magari in futuro potrà diventare bravo anche come terzino». 

Qual è il settore in cui il Valencia deve migliorare? 

«La squadra ha un’ottima base tecnica, qui sanno tutti giocare a calcio. Noi dovremo portare un’idea collettiva, nell’organizzazione e nello sviluppo del gioco. Sotto questo profilo non sono abituati a lavorare». 

E dove potrà arrivare? 

«Non lo so. Ho preso la squadra al terz’ultimo posto e abbiamo giocato solo una partita. Se quel mix tecnica-organizzazione funziona, possiamo toglierci delle soddisfazioni. Ma nelle mie prime 4 gare col Valencia tre sono in trasferta (La Coruna e Vigo, dopo Gijon) e un’altra in casa, ma col Barcellona. Ecco, era preferibile giocarne quattro fuori, però senza incontrare il Barça». 

Facciamo un salto in Italia. Scudetto alla Juve? 

«Ha già messo la freccia. Roma e Napoli però non molleranno: Spalletti saprà tirare fuori il meglio dalla sua squadra, che è forte in ogni reparto, mentre Sarri dovrà avere fantasia per sostituire Milik, dopo aver sostituito Higuain». 

Dopo la famosa stretta di mano di villa San Sebastiano con “non si deve preoccupare, lei è l’allenatore della Lazio”, ha più sentito Lotito? 

«No, mai più». 

La considera un’occasione persa? 

«Dico che la vita ti sorprende sempre, spesso in una maniera affascinante. Lì per lì ci resti male, pensi: “Ma come, mi ha dato la mano, abbiamo fatto perfino una riunione organizzativa, mi ha detto di non preoccuparmi e poi più niente, silenzio totale”. E quando credi che la porta sia chiusa, se ne apre un’altra che ti spalanca un mondo completamente diverso. Mi viene solo da dire che i dirigenti del calcio italiano dovrebbero farsi un esame di coscienza». 

fonte:corrieredellosport