Napoli, a gennaio gli azzurri ritorneranno nella zona alta della classifica
Attesa Napoli Milik: «Torno in primavera» Ma il recupero è da record
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Napoli – C’è tutto scritto, è una verità assoluta, nessuna mistificazione, né libera interpretazione: è ciò che ha detto il campo, che poi ha perfidamente mentito, però è la cronaca che va al di là delle opinioni, è il calcio di Sarri nella sua espressione aritmetica in cui, vi parrà strano, due più due non fa quattro. E’ il football verticale, che non s’è mai placato, folate di tagli e diagonali e sovrapposizioni, prima di arrivare al dunque, dove viene scaraventato sul capolavoro il pennello e pure la vernice: diciotto conclusioni con la Lazio, otto delle quali nello specchio della porta (e la più bella di tutte, l’accelerazione di Zielinski, su cui Mertens arriva in ritardo, non rientra tra i dati acquisiti dai computer, che prendono in esame solo i palloni indirizzati nei dintorni dei portieri avversari). E’ cambiato qualcosa, certo che sì, ma è semplicemente una questione di mira, tutto là dentro il difetto, perché basta avventurarsi a srotolare le partite, magari radiografandole in ogni suo dettaglio, per accorgersi che il metodo-Sarri ha perso (in sequenza) il cinismo di Higuain, la fisicità di Milik e (per il momento) l’estro d’Insigne, ma mai quella sua scanzonata «diversità».
CHE NUMERI. E’ un assalto sistematico che va in scena dalla prima giornata, a Pescara, due partite in una ed entrambe – a modo loro – dense d’assurdità: il 2-2 finale, che nel primo tempo è 2-0, porta con sé ventidue conclusioni del Napoli, quattro soltanto delle quali nella porta. Ma il primato, e dà un senso della natura della squadra anche nelle difficoltà, è nella continuità del rendimento offensivo, che diventa affascinante fin dentro ai sedici metri e che però poi converte in delusione quella sensazione di magìa: contro il Genoa, in una sfida equilibrata, «maschia», persino feroce, quattordici conclusioni (ma tre su Perin) e con la Roma, nel paradosso della sconfitta, ci sono le ventuno azioni da catalogare come significative, però «chiuse» e non felicemente soltanto in cinque circostanze.
MOSTRUOSO. Il Napoli più rassicurante, e l’ha detto poi l’epilogo, si scopre contro il Milan: il 50% circa della sua produzione (industriale) diventa un pericolo per Donnarumma e di queste otto chanches, quattro vengono trasformate in gol. Ma contro l’Empoli, c’è la rappresentazione sintetica di questo anno che fa tendenza a sé: per trentasei volte parte qualcosa, un oggetto non identificato che chiameremo pallone, all’indirizzo d’una porta che dev’essere un satellite misterioso e quasi irraggiungibile, perché il Napoli ci arriva dieci volte e fa due gol. Il minimo stagionale, e non sarà un caso, viene toccato a Torino, Juventus Stadium, dove s’afferra pure la più clamorosa contraddizione in termini: due occasioni, un gol. I numeri parlano.
Milik: «Torno in primavera»
Ci sarà un giorno, e scopriremo quando, in cui ci si riderà su: «Però quel giorno, quando arrivò la diagnosi, piansi». Le prime lacrime napulitane di Arkadiusz Milik spariranno, forse a gennaio o, com’è probabile che sia, «in primavera: speriamo; ma non forzerò, non voglio aver fretta, quello che sto perdendo ora lo recupererò poi». E’ il tempo, che dicono sia un galantuomo magari restituirà il «maltolto»: ma intanto, confessandosi in patria, al portale polacco Sportowefakty, c’è una prognosi che va aggiornata e una data, sul calendario, da ritrovare: forse al Napoli non basterà rivedersi a gennaio, proprio quando riaprirà il mercato, per potersi rallegrare d’avere al proprio fianco di nuovo quel corazziere senza macchia e senza paura, che il 9 ottobre ha scoperto invece l’altra dimensione della felicità. «Nel 99% dei casi, un incidente del genere si chiude con una lieve contusione. Invece a me è toccato l’1%: è il primo infortunio di questa gravità, mi sono buttato alle spalle le prime reazioni da depresso: ora svolgo due sedute al giorno, comincio alle nove e torno a casa alle quattro del pomeriggio. Sono all’inizio d’un percorso».
LA MIA NAPOLI. Bisognerà aver pazienza, cibarsi dell’affetto della città, sviscerata nei suoi pregi e nei difetti, raccontata senza alcun filtro, né ipocrisia: «Sento l’affetto di tutti, allo stadio e per le strade. Esco raramente, qui il calcio è religione: faccio shopping al mattino presto e frequento posti poco affollati. E’ bello tutta questa attenzione ma è anche vero che ti piace prendere una pausa dal caos e dalla frenesia. La cosa più incredibile che m’è successa: una volta, due scooter m’hanno seguito per 5 chilometri, poi hanno bussato al finestrino. Volevano un autografo, non altro come temevo. E comunque i compagni mi hanno consigliato di evitare gli orologi di lusso, meglio evitare certe situazioni».
IL PRESEPE. Fra qualche giorno è Natale, verrebbe da cantare: perché la sua Napoli è anche altro. «A san Gregorio Armeno hanno realizzato la mia statuina. Quando vado in giro, impossibile pagare, l’avrò fatto due volte su dieci. Qui non si parla che di calcio, sempre ed ovunque». E non si pensa che al rientro di Milik….«Tutto sta andando secondo i piani, non ho problemi, il ginocchio non è gonfio, non ci sono accumuli di sangue. Non mi sbilancio». Granelli di sabbia, la clessidra va.
Michele De lucia dal corrieredellosport