CAGLIARI (4-3-1-2): Storari; Isla, Ceppitelli, Bruno Alves, Pisacane; Dessena, Tachtsidis, Padoin; Barella; Sau, Borriello. All. Rastelli
NAPOLI (4-3-3): Reina; Hysaj, Chiriches, Koulibaly, Strinic; Zielinski, Jorginho, Hamsik; Callejon, Mertens, Insigne. All. Sarri
ARBITRO: Calvarese
Il turn-over, certo, ma con moderazione, perché intanto Lisbona è lontana, sono passate cinque notti per riposare, dunque per recuperare, e il sonno aiuta a smaltire le tossine ma anche l’acido lattico.
Si cambia, certo, però assolutamente senza esagerare: c’è stato modo e tempo per lasciarsi alle spalle lo stress e la fatica della Champions e a Cagliari, impossibile derogare, giocano (quasi) gli stessi del «Da Luz»: un ritocchino a centrocampo, ma piccolo piccolo e poi scontato, e uno in attacco, pure questo annunciato.
Si ricomincia a mezzogiorno e trenta, non c’è nessuna rifinitura, ma comunque ciò che s’intravede a Castel Volturno può essere rivisto nella notte di riflessione che Sarri, come qualsiasi allenatore, si concede.
IMMUTABILI. C’è stato il sospetto che Maggio potesse avvicendare Hysaj, poi la partita si è avvicinata e la tentazione sembra sia sfumata, perché l’albanese va, ha gamba e ispirazione ed anche in Portogallo lo ha dimostrato. La linea è quella, non si scappa, perché Albiol (errore a parte) sta assai meglio fisicamente: dovesse indurre in perplessità, spazio a Chiriches, il suo sostituto naturale.
TECNICA. Chi spreca veramente energia in quantità industriale è Allan, che ha bisogno di rifiatare in una zona del campo in cui non manca il talento, quello di Zielinski, padrone delle giocate e dei movimenti di Sarri sin dall’epoca di Empoli: nell’eterno ballottaggio della metà campo, stavolta in vantaggio c’è il polacco; così come Diawara è un filino avanti a Jorginho, perché a diciannove anni si riacquista rapidamente fiato e lucidità.
RIECCOLO. E’ il tormentone di sempre, non sfugge neppure stavolta alla regola, si va un po’ anche a libera interpretazione, perché Sarri non dà vantaggi neppure con le casacchine: ma il tridente di Cagliari, rispetto a Lisbona, avrà dall’inizio un volto nuovo e sarà quello di Mertens, titolare ad honorem dopo tutto quel po’ di sconquasso che ha creato nell’area di rigore (e fuori) portoghese. Gabbiadini danza tra la panchina e il braccio di ferro con Insigne (e a quel punto, Mertens a sinistra).
Un, due, tre: è un salto nel futuro, lo stacco da imprimere senz’indugi, gli svolazzi per la fantasia per riafferrare il potere. Si riparte ed è un breve viaggio ad altissima velocità, tutto calcio verticale, palleggio (anche) cerebrale e guizzi che servono per riprendersi un ruolo da protagonista: il Cagliari (ore 12,30), poi il Torino domenica prossima e la Fiorentina prima del Natale, è un percorso accidentato, certo tortuoso, ma la Champions ha avuto i suoi effetti (benefici), ha riformulato le gerarchie, ha riprodotto la magìa d’un attacco formato mignon eppure gigantesco, con proiezioni da record che lusingano Callejon, Insigne e Mertens. L’oro di Napoli, loro per Napoli.
LA TRIPLICE. E’ un attacco small, eppure sta per extralarge, perché nel dicembre perfetto (battuta l’Inter, poi anche il Benfica) la triade ha scoperto, tutta assieme ed appassionatamente, che c’è tempo e modo per spingersi persino oltre se stessa confezionando una serie di primati che sembravano improbabili e che sono divenuti possibili dialogando nello stretto (Mertens-Callejon a Lisbona) o sfruttando il fiuto del gol (Insigne con l’Inter) o deliziandosi con il talento (il belga con il Benfica).
CALLEJON. Il bomber adesso è lui e non c’è neanche tanto da sorprendersi, perché era già successo, nella sua prima stagione, di ritrovarselo tra gli eletti: sette gol in campionato, uno in Champions, la bellezza di sette assist che quasi passano sotto silenzio dinnanzi a una produzione così massiccia di capolavori nelle ventuno presenze che fanno di lui anche uno stakanovista. Il primo Callejon (stagione 2013-2014), la sorpresa di quell’uomo importato da Benitez alla modica cifra di 8,8 milioni di euro dal Real Madrid, a questo punto della stagione era arrivato a nove reti tutto compreso: sarebbe approdato a quota venti, rispettando in pieno le previsioni del suo «maestro», che ne aveva pronosticato l’esplosione a livelli d’attaccante.
INSIGNE. Lo scugnizzo è tornato prepotentemente, ha esibito il campionario, ha stupito di destro, di sinistro, con gli assist (è già a cinque) ed ha intuito che può cancellare il personale dell’anno scorso, quando arrivò a dodici reti in serie A e una in Europa, l’unica dimensione nella quale non è ancora riuscito a incidere come vorrebbe, come dovrebbe. Insigne s’è scongelato a Udine, dopo dodici partite (in campionato) consumate nell’ansia: segna ininterrottamente da tre partite (il parziale dice che ne fa uno ogni sessantasette) e soprattutto ha ritrovato fiducia in se stesso e quella vocazione che sembrava inaridita.
MERTENS. Ma chi sta «spaccando» le partite e pure i precedenti è Dries Mertens, quello che gioca di meno nella terna vincente (1.139 minuti), quello che segna di più (perché viaggia a una rete ogni centosessantré minuti), quello ch’è stato capace già di esaltare il proprio rendimento rispetto al passato (nel 2013, a questo punto, era a quota tre; nel 2014 era pericolosamente a zero in campionato e ne aveva fatti tre in Europa League; nella passata stagione: uno in serie A, però cinque in Europa League). I numeri non mentono mai e Mertens – ch’è andato sempre in doppia cifra – ha la propria vetta partenopea fissata a dodici reti.
INSIEME. Lo chiamano il tridente leggero e invece eccolo là, in tutta la sua esplosività, sostenuta dalle statistiche (sei volte dal primo minuto, due volte all’asciutto: con la Lazio e con la Dinamo Kiev). La marcia dei (t)re Magi continua…
fonte:corrieredellosport