MINORI (COSTA D’AMALFI) – Raramente mi è capitato di assistere ad una partecipazione ed ad una commozione così ampia e condivisa come quella osservata durante i funerali della signora Rita, Lunedi scorso a Minori. Quasi mai per una persona scomparsa né giovane né in circostanze sciagurate.
Se la pietà e la tristezza, fossero materia che si misura a peso, direi che se ne potevano calcolare molte tonnellate, sospesi, paradossalmente, come un macigno nell’aria di quel pomeriggio.
E se la morte fosse un compendio per ciò che si è fatto in vita, gran parte del suo altruismo le è tornato indietro in qualche modo: tramite la vicinanza alla famiglia, alle testimonianze di affetto, alla preghiera per chi crede. Eppure nonostante tutto questo bene, ogni morte lascia, e questa più di altre, un alone di tristezza incancellabile; come una macchia su una tovaglia che non si può più lavare. Una tristezza definitiva, indelebile.
I funerali, quelli come questi, sono rimasti forse, l’unica occasione durante la quale una piccola comunità come la nostra sente di stare in un posto solo; il riuscire ancora a condividere un sentimento è il motivo che ci resta per stare qui. Si muore e vengono celebrati funerali ovunque, ma non è la stessa cosa. Chi vive in città lo sa.
Avendo conosciuto la signora Rita, posso riconoscerle una virtù che possedeva in doti non comuni: la generosità. Manifestata in maniera colorita o rumorosa, ma anche taciuta, discreta, sottotraccia o con indomabile energia senza cedimenti né rivincite. Una dote che ha conservato fino alla fine, unita ad un altro singolare talento: quello dell’invadenza.
Una tipologia particolare di invadenza, modellata con paziente cura e decennale esperienza, come uno strumento artigianale che adoperava, quotidianamente, per costruire il bene. Non un lavoro semplice, è chiaro, un’opera realizzata con migliaia di attenti gesti di bontà, fatta di disponibilità, slanci e frenate, gite fuori, cene insieme, grida e scherzi. L’incuriosirsi, il chiedere, il voler capire, il sapere più cose per metterle insieme, l’incrociare ogni problema per provare a risolverlo, per scavare nei silenzi dei nostri guai e per cercare, se possibile, di far qualcosa. Fermandosi sempre un attimo prima di essere sfacciati.
Persone così esistono in ogni piccola comunità e la tengono saldata con un collante tanto invisibile quanto tenace, molto più solidamente di chi avrebbe strumenti per farlo ma non ne ha né il carisma né tantomeno la vocazione. Occorre un anima leggera, onestamente indiscreta.
Perché, in questi posti, non ci può essere vera generosità senza un impiego umano dell’invadenza.
A Natale bisognerebbe provare ad essere amabilmente invadenti, chiamare chi non ci chiama, dare un buon consiglio anche a chi non ce l’ha ancora chiesto, aiutare chi ha bisogno ma non ha il coraggio di dirlo. Dimenticare i litigi, siglare una pace, regalare qualcosa che resti.
Convertire la nostra invadenza in generosità.
Farlo almeno nel giorno di Natale, nel ricordo di chi prova, o provava a fare, di ogni giorno Natale.
Christian De Iuliis – christiandeiuliis.it