Giù le mani dal mito del Serraglio

6 gennaio 2017 | 10:43
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Giù le mani dal mito del Serraglio

Indecoroso il concerto offerto dall’ Associazione Ex-Allievi dell’ Orfanotrofio Umberto I, presieduta da Eugenio Paolantonio Di ANTONIO FLORIO Si è giunti, oramai, alla XXIX edizione del Gran Galà dell’Epifania, offerto dall’Associazione Ex-Allievi dell’Orfanotrofio Umberto I, che anno dopo anno, va sempre più raschiando il fondo del barile sia dal punto di vista musicale, che di […]

Indecoroso il concerto offerto dall’ Associazione Ex-Allievi dell’ Orfanotrofio Umberto I, presieduta da Eugenio Paolantonio

Di ANTONIO FLORIO

Si è giunti, oramai, alla XXIX edizione del Gran Galà dell’Epifania, offerto dall’Associazione Ex-Allievi dell’Orfanotrofio Umberto I, che anno dopo anno, va sempre più raschiando il fondo del barile sia dal punto di vista musicale, che di partecipazione di pubblico. Il 3 gennaio, in un teatro Verdi cupo e tetro, ho potuto contare una cinquantina di presenze tra platea e palchi, incredibile per i numeri di un’associazione nata nel 1989, per ascoltare un concerto, con biglietto d’entrata a ben 12 euro, a dir poco indecoroso, per di più in ricordo di una istituzione musicale e non solo, quale fu la Scuola di Musica dell’Umberto I, il Serraglio. Non vogliamo qui rivangare la grande storia di quella istituzione, prime parti di “strumentini” e ottoni delle massime orchestre e bande nazionali e internazionali, uscite dalla prestigiosa scuola salernitana, la celebrata banda, che si esibiva ogni domenica e nelle feste comandate nella villa comunale, l’orchestra sinfonica, che era adusa chiudere la stagione lirico-sinfonica del tempo, diretta dal M° Franz Carella, proprio nel massimo cittadino, quale vanto della scuola e dell’eccellenza degli allievi, i grandi nomi che sono nella storia degli strumenti che hanno onorato, come mio padre Francesco Florio, “rinchiuso” a soli sei anni nel “Serraglio”, il quale dopo una carriera di sacrifici ha donato alla città la prima cattedra d’insegnamento del proprio strumento, il sassofono, unitamente a tanti altri, che in tutto il mondo hanno onorato la Musica. Martedì sera, i duecento anni di storia della Scuola di musica sono stati infangati da un concerto allestito dal neo-presidente dell’Associazione Ex-Allievi Eugenio Paolantonio, già conosciuto per la chiacchieratissima mise en scene dell’opera di Temistocle Marzano “I Normanni a Salerno”. Sul palcoscenico del teatro Verdi, che sta assurgendo alle massime vette nazionali, grazie agli sforzi dell’amministrazione comunale, di Daniel Oren e di Antonio Marzullo, che da quella famosa scuola che fu l’Umberto I proviene, all’indomani di un applauditissimo concerto di Capodanno, con l’Orchestra Filarmonica Salernitana diretta da Francesco Ivan Ciampa e i solisti, tutti e due provenienti dalla scuola cittadina, si è dovuto assistere all’esibizione della formazione “Gli armoniosi”, passata per orchestra degli ex-allievi, tra cui abbiamo intravisto unicamente Maurizio Maiorino, ma non al corno, bensì al basso elettrico, un gruppo di elementi raccogliticci, tra archi giovani e fiati provenienti da bande di giro locali, orchestrati da un ex allievo cornista Vincenzo detto “pescetiello” Calabrese e due solisti il tenore Pasquale Bruno, il quale simpaticamente, resosi conto della pochezza di contenuti musicali, l’ha girata a tarallucci e vino, festa di piazza style, e l’avvenente soprano Angela Gragnaniello, ai quali si è aggiunta la Sabrina Messina, che ha elevato l’aria “Geme dolente vergine” proprio da “I Normanni a Salerno”. Voci consunte, quelle dei solisti, che hanno spaziato da Puccini, a Verdi, alla tradizione napoletana, su arrangiamenti discutibili e mal eseguiti firmati dallo stesso Vincenzo e dal figlio Giuseppe Calabrese, intercalate da due letture di Matteo Cantarella, in doppia veste di chitarrista e docente di lettere, per onorare un’istituzione musicale della quale non si è fatta quasi menzione (e meno male!), e del cui mito, capace di aprire con il suo carisma, ogni porta, si è impadronito un gruppetto di persone, che prima della cena sociale, dissacrano le tavole del teatro Verdi. E’ questa la cultura cui le istituzioni apre le porte del proprio simbolo artistico, del proprio “luogo” d’arte? Purtroppo, i nostri eccelsi amministratori sono certamente rimasti abbagliati da quello specchietto per le allodole che è quella risplendente parentesi musicale, ormai chiusa e sigillata da quarant’anni. Il nostro monito è che bisogna operare una cernita intelligente, informandosi sulla validità dei progetti, sulla realizzazione e in particolare sulle persone che li presentano, per evitare che vengano realizzati, in “luoghi” deputati, spettacoli di infima lega.