La lezione di Maurizio Lupinelli

10 gennaio 2017 | 09:53
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La lezione di Maurizio Lupinelli

Un workshop del regista toscano su “Sangue sul collo del gatto” di Fassbinder ha inaugurato la seconda stagione di Mutaverso Di OLGA CHIEFFI  Con uno studio sullo spazio, sul ritmo e il timbro della voce, è iniziata la seconda stagione di Mutaverso, un progetto di Vincenzo Albano e del suo ErreTeatro, che ha voluto un’apertura […]

Un workshop del regista toscano su “Sangue sul collo del gatto” di Fassbinder ha inaugurato la seconda stagione di Mutaverso

Di OLGA CHIEFFI

Con uno studio sullo spazio, sul ritmo e il timbro della voce, è iniziata la seconda stagione di Mutaverso, un progetto di Vincenzo Albano e del suo ErreTeatro, che ha voluto un’apertura formativa, con un maestro del teatro contemporaneo, Maurizio Lupinelli, il quale ha lavorato nello spazio ispirante della Chiesa di Santa Apollonia, su “Sangue sul collo del gatto”, opera di un Rainer Werner Fassbinder giovane e coraggioso, datata 1971. Un workshop, prove, per una realizzazione futura di questo spettacolo, che ha visto impegnati attori e maestranze salernitane, i quali risiedono e lavorano fuori città, un ritorno a casa, per conoscersi e confrontare i propri diversi percorsi, sul testo di Fassbinder, operando, così, anche un censimento di professionisti salernitani che vivono di teatro, per un progetto in fieri le cui linee sono ancora nell’immaginario di Vincenzo Albano. In una Chiesa di Santa Apollonia, trasformata in scena desertica, lunare, di gusto metafisico, da un sagomatore posto sul sagrato, pensata in modo verticale da Maurizio Lupinelli, ma che, andando a considerare per intero i 32 minuti di prova concessi al pubblico, ha offerto l’immagine di una croce, Marta Chiara Amabile ha dato vita all’aliena Phoebe Zeitgeist, intesa come Furia della mitologia romana, che ha raggiunto ai piedi dell’altare il Poliziotto (Cesare D’arco), la Ragazza (Antonella Valitutti), il Soldato (Victor Stasi e Francesco Petti), la Moglie (Annamaria Troisi e Maria Scorza), il Maestro (Andrea Avagliano, Damiano Camarda), la Modella (Francesca Golia, Alessandra Crocco), l’ Amante (Eduardo Ricciardelli, Alessandro Gioia), il Macellaio (Luca Trezza, Alessandra Crocco), l’Amata (Eloisa Gatto). Due attori per qualche ruolo in questo workshop, in modo da offrire spazio a tutti i “naviganti”, “bottega del ritorno” che ha salutato anche la partecipazione di Scene Contemporanee con Franco Cappuccio, Renata Savo e Bernardo Tafuri, i quali hanno stilato una specie di brogliaccio delle cinque giornate di Maurizio Lupinelli, unitamente alla fotografa Stefania Tirone e al regista Antonio Concilio, il quale ha filmato il tutto per la futura realizzazione di un docufilm. La trama è semplice, un’aliena (Phoebe, la furia) straniata e stranita, finita casualmente nel nostro mondo per studiare la società degli uomini, carpire i segreti della loro democrazia, assiste al dispiegarsi contorto, e sostanzialmente malato e violento, delle relazioni tra le persone che incontra. Di queste relazioni, di questi intrecci, di questi personaggi, dapprima assimila passivamente gesti, movenze, automatismi, linguaggio, ossessioni, falsità, mostruosità, per poi improvvisamente diventarne implacabile specchio, innescando la miccia di un vertiginoso cut-up verbale, finendo col svelare il proprio intento estetico/politico: fare tabula rasa. La Furia è generazione dall’essere umano stesso e si nutre di esso tendendo ad impossessarsene quando le condizioni producono la sua apparizione e il suo scatenarsi. Indovinata, quindi l’identificazione di Phoebe con il personaggio mitologico, da parte di Lupinelli, il quale ha poi rivelato avrebbe voluto si fosse calata dalla cupola della chiesa con una scaletta da roccia, più che attraversare in un istante infinito la navata della chiesa. E’ il linguaggio, in effetti, che rivela l’impotenza di fondo dei personaggi, non più il dialogo, ma una sorta, alla fine, di ibrido idioma, in cui si spengono spezzoni di parole, e una koinè mediatica, ovvero la lingua imposta a chi non ha più vera identità umana, e meno che mai una sua dignitosa collocazione sociale, proprio per aver animato brutali contraddizioni, trasgressioni e violenza. “Avete assistito ad una prova – ha spiegato dopo la rappresentazione – penso alla completa mise en scene, che potrebbe vedere i personaggi muoversi quali marionette e salutare sul palcoscenico qualcuno di questi validi attori”.