Per non dimenticare l’orrore. Per non scordare l’atrocità delle leggi razziali. E per commemorare, ancora e sempre, tutte le vittime dell’Olocausto. Il Giorno della Memoria è una ricorrenza istituita con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 dal Parlamento italiano che ha in tal modo aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio […]
Per non dimenticare l’orrore. Per non scordare l’atrocità delle leggi razziali. E per commemorare, ancora e sempre, tutte le vittime dell’Olocausto. Il Giorno della Memoria è una ricorrenza istituita con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 dal Parlamento italiano che ha in tal modo aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come giornata in commemorazione delle vittime del nazionalsocialismo e del fascismo, dell’Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati. Il 27 gennaio porta con sé sempre molta tristezza e ci spinge tutti, soprattutto chi conosce la storia e ha avuto modo di capire cos’è successo realmente a causa di Hitler prima e Mussolini poi, a un difficile esame di coscienza.
PER non dimenticare l’orrore. Per non scordare l’atrocità delle leggi razziali. E per commemorare, ancora e sempre, tutte le vittime dell’Olocausto.
mmaginiamo di dover abbandonare la nostra casa, di dover cedere la nostra impresa dopo aver pagato tutte le tasse senza neanche un giorno di ritardo; immaginiamo di doverci nascondere a casa di qualcuno per chissà quanto tempo, di non poter più uscire, di cercare di andar via, a questo punto, ma di non poterlo fare perché, nel frattempo, lo Stato in cui volevamo iniziare una nuova vita ha messo in atto forti restrizioni all’immigrazione; immaginiamo, insomma, di perdere la nostra vita anche senza essere morti davvero e di iniziare una corsa senza fine verso chissà dove: un’improvvisa corsa alla sopravvivenza che non avremmo mai immaginato di dover fare, perché, in fondo, non abbiamo fatto del male a nessuno e l’unica nostra colpa, in realtà, è quella di essere diversi.
Immaginiamo di dover abbandonare la nostra casa, di dover cedere la nostra impresa dopo aver pagato tutte le tasse senza neanche un giorno di ritardo; immaginiamo di doverci nascondere a casa di qualcuno per chissà quanto tempo, di non poter più uscire, di cercare di andar via, a questo punto, ma di non poterlo fare perché, nel frattempo, lo Stato in cui volevamo iniziare una nuova vita ha messo in atto forti restrizioni all’immigrazione; immaginiamo, insomma, di perdere la nostra vita anche senza essere morti davvero e di iniziare una corsa senza fine verso chissà dove: un’improvvisa corsa alla sopravvivenza che non avremmo mai immaginato di dover fare, perché, in fondo, non abbiamo fatto del male a nessuno e l’unica nostra colpa, in realtà, è quella di essere diversi.
Tutti vorremmo cancellare la Shoah, vorremmo che quei film sul Terzo Reich e sullo sterminio sistematico degli ebrei fossero delle disgustose pellicole su una realtà da noi lontana e mai esistita nel mondo; a dire il vero, cerchiamo di non pensarci, o, se ci pensiamo anche con un certo coinvolgimento, poi siamo pronti a rispedire in Africa le migliaia di migranti che arrivano qui da noi, come se fossero merce e non gente alla ricerca di un posto al Sole: come quegli ebrei che hanno dovuto, quando hanno potuto, rinunciare alla propria identità, abbandonare la propria vita e inizire di nuovo in posti che neanche conoscevano.
L’Olocausto ha lacerato profondamente la pelle già sporca dell’umanità, e non c’è niente che possa restituircene l’epidermide: dopo lo sterminio di ebrei, omosessuali, zingari, disabili e oppositori politici siamo tutti meno protetti e tutti più esposti al pericolo, perché il male gratuito delle gerarchie hitleriane e di tutto il sistema tedesco è stato fatto. Non possiamo neanche portare il peso del ricordo, perché noi non c’eravamo, e, se ci fossimo stati, forse non saremmo sopravvissuti a mille e atroci punti interrogativi: perché loro e non noi? Perché loro i sommersi, e non noi, che siamo ancora qui, immersi nella nostra triste mediocrità, a invocare l’avvento delle dittature? “Sono qui di passaggio – scrive Primo Levi sugli abitanti del lager – e [di loro] non rimarrà che un pugno di cenere…”. Di loro, in effetti, non è rimasto nulla: sono corpi che vivono indistintamente nella memoria collettiva, che si confondono nell’aria maledetta che ancora oggi si respira nei campi di sterminio; sono corpi che non potranno mai trovare pace qui e per i quali non basterà nemmeno la più bella delle nostre preghiere.