Quebec, spari in una moschea, sei morti tra i fedeli in preghiera. Preso un 27enne canadese

31 gennaio 2017 | 17:08
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Quebec, spari in una moschea, sei morti tra i fedeli in preghiera. Preso un 27enne canadese

La carneficina alla Grande Moschea di Quebec è iniziata la sera di domenica poco dopo le sette e mezza. Era l’ora della preghiera e il luogo di culto era affollato da una settantina di fedeli. L’imam e presidente del centro Mohamed Yangui non era presente, ma ha detto alla televisione canadese di aver raccolto la […]

La carneficina alla Grande Moschea di Quebec è iniziata la sera di domenica poco dopo le sette e mezza. Era l’ora della preghiera e il luogo di culto era affollato da una settantina di fedeli. L’imam e presidente del centro Mohamed Yangui non era presente, ma ha detto alla televisione canadese di aver raccolto la testimonianza di alcune delle persone che hanno assistito alla sparatoria. Un attentatore è entrato nella sala e ha iniziato a colpire a raffica intorno a sé. Ha ricaricato l’arma automatica un paio di volte e ha ripreso a sparare. È anche andato al piano superiore dell’edificio dove si trova l’area separata nella quale pregano le donne, ma non è chiaro se sia riuscito a colpire anche lì. Quando è uscito si è lasciato alle spalle sei morti e diciannove feriti. Alle 8:10 una telefonata ha raggiunto il centralino di emergenza della polizia cittadina. Era lo stesso attentatore che offriva di consegnarsi e proponeva un appuntamento sulla rampa del ponte Ile d’Orleans. Gli agenti lo hanno trovato a bordo dell’auto con la quale era fuggito dalla scena della strage, mansueto e pronto ad arrendersi. Nel giro di poche ore è emerso il suo nome: Alexander Bissonette, 27 anni, studente di scienze politiche con indirizzo antropologico. Senza precedenti, studente di antropologia e scienze politiche alla locale università Laval, la più antica in lingua francese del Nord America, con sede vicino alla moschea. Il suo profilo rende più plausibile l’ipotesi della xenofobia o dell’islamofobia. L’analista israeliana Rita Katz, direttrice di Site Intelligence Group (società Usa che si occupa di pubblicare tutte le attività online delle organizzazioni jihadiste), ha twittato che a Bissonette piacevano Trump, Marine Le Pen e le forze di difesa israeliane su Fb, rendendo improbabili i legami con la jihad. E forse è per questo background che il primo ministro Justin Trudeau ha subito definito la strage come un «attacco terrorista contro i musulmani». La polizia aveva fatto sapere di avere tra le mani un secondo presunto sospetto, il cui nome viene trascritto da alcune fonti come Mohamed Belkhadir, da altre come el Khadir, di origini marocchine. Ma successivamente gli agenti hanno precisato che Khadir è soltanto un testimone. Avrebbe qualche anno di più di Bissonette e sarebbe anche lui studente nella stessa Laval University di Quebec City. La polizia lo ha fermato nelle prossimità della moschea e nella perquisizione gli ha trovato nella tasca del cappotto il portafogli coperto di sangue. Di Bissonette invece si sa di più, come detto. Un suo compagno di studi si è definito sorpreso di vederlo associato ad un crimine così atroce, ma conferma che lo studente era un tipo solitario, che non aveva molti amici all’università. Anche la vicina di casa Huguette Dagnon lo ricorda come una persona educata sebbene introversa e dice che viene da una famiglia molto a modo. Ma Francois Dechamps, uno dei componenti del comitato di accoglienza Bienvenue aux Réfugiés che assiste il collocamento dei profughi in arrivo nella regione ha fatto un salto sulla sedia quando ha visto la foto del giovane pubblicata sui siti della stampa locale. «L’ho riconosciuto subito – dice Dechamps – non appartiene ai gruppi oltranzisti e xenofobi come Meutre o Atlante che sono attivi in tutto il Quebec, ma noi lo tenevamo lo stesso di mira». Bissonette aveva affidato a Facebook, in occasione di una visita di Marine Le Pen alla regione, la sua speranza che la popolazione locale si rivoltasse contro la perdita di identità nazionale in corso, per via dell’arrivo dei rifugiati. Le sue non erano parole incendiarie, né intrise di odio, ma l’appello era per un sollevamento della popolazione locale. Questo scritto, ed altri di sapore misogino che riguardano i diritti delle donne, avevano fatto suonare un campanello di allarme per l’associazione, che lo aveva inserito nella sua lista di soggetti da tenere d’occhio per una possibile radicalizzazione. Il premier Trudeau era atteso in serata nell’antica cittadina sulla sponda del fiume San Lorenzo, mentre dalle cancellerie dei maggiori paesi occidentali e del Vaticano giungevano messaggi di solidarietà nei confronti del Canada. Nelle maggiori città americane i sindaci hanno immediatamente rinforzato la protezione di polizia intorno alle moschee. (Flavio Pompetti – Il Mattino)