Recuperata la maglia di Maradona rubata al gala. Era stata trafugata da un avvocato di Castellammare
Napoli, lunedì scorso, è ormai notte inoltrata. Da poche ore si è concluso “Tre volte 10”, lo spettacolo che ha visto Diego Armando Maradona calcare il palco del teatro San Carlo. Un evento, con la regia di Alessandro Siani, che aveva fatto registrare il sold out dopo pochi giorni dalla messa in vendita dei ticket, […]
Napoli, lunedì scorso, è ormai notte inoltrata. Da poche ore si è concluso “Tre volte 10”, lo spettacolo che ha visto Diego Armando Maradona calcare il palco del teatro San Carlo. Un evento, con la regia di Alessandro Siani, che aveva fatto registrare il sold out dopo pochi giorni dalla messa in vendita dei ticket, dal prezzo di 300 euro l’uno. Nella sala ristorante del Grand Hotel Vesuvio una cinquantina di persone stanno partecipando alla cena post spettacolo. Una festa privata che vede però soltanto pochi intimi, con Maradona padrone di casa e ancora al centro dell’attenzione, che tra una portata e una battuta non disdegna di concedersi ai suoi amici firmando autografi e rendendo unici i feticci che i suoi appassionati hanno portato con sé. Perché il Pibe de Oro, a Napoli, non è solo un ex calciatore e probabilmente il più forte di tutti i tempi: è una passione, è un idolo. È una religione pagana in cui aureola e scettro si fondono in un pallone. Tra i cimeli alla festa c’è una maglia blu col colletto bianco. È quella della nazionale argentina dei Mondiali del 1986 in Messico, quando i sudamericani sconfissero l’Inghilterra per 2-1, con doppietta di Maradona. Una maglia che ha fatto storia e su cui circola un aneddoto curioso: le partite si giocavano a mezzogiorno e, temendo l’afa di Città del Messico, lo staff argentino pare abbia girato la città alla ricerca di maglie più leggere, acquistandone una cinquantina blu in un negozio di articoli sportivi; i loghi della Federcalcio e i numeri argentati sul retro sarebbero stati applicati a mano la sera prima della sfida contro l’Inghilterra. Ma quella maglia porta sulle spalle, un po’ rovinato, il numero 10. E una delle due che indossò il fenomeno argentino il giorno in cui, allo stadio Azteca, con undici tocchi scartò mezza squadra inglese, portiere compreso, e insaccò. Quattro minuti dopo aver portato l’Argentina in vantaggio con quel gol divenuto famoso come la “Mano de Dios”. Quella maglia è leggenda. Delle due uniformi usate in quella partita da Maradona, una è al Museo del calcio di Preston, in Inghilterra, l’altra è di proprietà di Antonio Luise, un imprenditore di Castel Volturno, al cui padre l’aveva regalata l’ex attaccante del Napoli Andrea Carnevale. La maglia viene mostrata a Diego, poi ritorna in una busta insieme a due paia di scarpette e a un’altra uniforme, quella dell’Argentina ai Mondiali del 1990. Sono quasi le quattro del mattino, la festa volge al termine, quando Luise si volta e vede che dal tavolo dove è seduto con alcuni amici è scomparsa la busta col suo tesoro. È il panico. Controlla bene, guarda dappertutto, ma inutilmente. Avvisa i dipendenti dell’hotel, che subito lo aiutano nelle ricerche. Qualcuno afferma di aver visto la busta in mano a un uomo che si allontanava dalla sala, qualcun altro ipotizza che si tratti di uno scherzo, o di uno scambio accidentale. Passano i minuti ma la busta non salta fuori. Così Luise, amareggiato per quell’epilogo inaspettato, si rivolge alle forze dell’ordine e sporge denuncia al commissariato San Ferdinando della Polizia di Stato, diretto dal vicequestore Maurizio Fiorillo. Le indagini vengono immediatamente prese in carico dalla Squadra Investigativa dell’ispettore capo Vincenzo Arrichiello. Quella camiseta, per il mondo dei collezionisti, può valere anche 150.000 euro. Per un “fedele” della religione maradoniana, invece, è semplicemente inestimabile. I primi risultati arrivano qualche ora dopo, nel pomeriggio di martedì, quando Luise viene avvisato che la busta è stata ritrovata e che dentro ci sono le scarpe e la maglia dei Mondiali del ’90: del cimelio leggendario nessuna traccia. Qualche altra ora col fiato sospeso, però, salta fuori anche quella: l’imprenditore viene avvisato in serata e il giorno dopo, mercoledì, va a “riabbracciarla” in commissariato. Per l’uomo accusato del furto scatta la denuncia a piede libero. È un avvocato di Castellammare. Il motivo? Ha perso la testa quando ha visto il contenuto della busta, è anche lui “pazzo per il Napoli”. (Nico Falco – Il Mattino)