Rigopiano, da baita ad hotel di lusso costruito sui detriti. Nel 2007 l’ultimo mega-ampliamento
Da rifugio alpino a resort di lusso. Tutto in quarant’anni, tutto dentro la medesima dinasty di operatori con radici a Farindola, tutto dentro una catena di eredità contese, rapporti familiari complessi, un fallimento da 2 milioni e mezzo, un paio di processi. E il puntuale contorno di guerre personali e storie avvelenate di un paese […]
Da rifugio alpino a resort di lusso. Tutto in quarant’anni, tutto dentro la medesima dinasty di operatori con radici a Farindola, tutto dentro una catena di eredità contese, rapporti familiari complessi, un fallimento da 2 milioni e mezzo, un paio di processi. E il puntuale contorno di guerre personali e storie avvelenate di un paese troppo piccolo per un sogno troppo grande: quello di Ermanno Del Rosso, il padre fondatore dell’Hotel Rigopiano, deciso verso la fine degli anni ’50 a dare anche una chance di turismo montano al territorio pescarese, marino per vocazione. Il primo fotogramma è del 1958 e raffigura l’albergo schiantato dalla valanga di mercoledì scorso com’era: una piccola baita in pietra di due piani, nello stile tipico delle costruzioni novecentesche spuntate in particolare sul versante aquilano del massiccio del Gran Sasso, che da Farindola dista mille metri di dislivello e i pochi chilometri dello splendido altopiano di Vado di Sole, dal quale in estate si arriva dritti a Campo Imperatore. Il set ideale per una quantità di film e sport pubblicitari, il percorso più amato dai bikers di mezza Italia. Ma l’inverno no, è tutta un’altra storia e non è storia sconosciuta. Al centro delle indagini della procura di Pescara, in rifermento particolare all’ipotesi di disastro colposo c’è già una montagna di documenti acquisiti dalla Forestale, che fornisce risposta alla madre di tutte le domande: quell’albergo poteva sorgere lì, a 1.200 metri di quota, sotto un altro chilometro di roccia e brecciato? Difficile immaginare una risposta positiva alla luce dei primi dossier allineati sul tavolo dei Pm Tedeschini e Papalia. L’ultimo, in ordine di tempo, contiene due atti della Regione Abruzzo: la mappa di rischio del 1991 e il piano di assetto idrogeologico del 2007, anno chiave in cui l’Hotel Rigopiano ha subito l’ultimo importante ampliamento. L’analisi del terreno fatto di detriti di antiche frane, le simulazioni e la valutazione dei tempi di ritorno di eventi significativi collocano l’albergo al centro di un cono nevralgico in cui qualcosa di brutto era da mettere nel conto in un arco di 50-100 anni. Ed è esattamente nel 1936 l’ultimo precedente paragonabile a quello di mercoledì 18. In mezzo ai due atti c’è la legge valanghe del 1992, che prevede inedificabilità totale delle aree a rischio e chiusura invernale delle strutture esistenti: norme mai applicate per la mancanza della mappa esecutiva. Forse non poteva sorgere lì. Con norme più chiare difficilmente l’albergo della morte avrebbe potuto avere la possibilità di restare aperto d’inverno. Soprattutto nelle dimensioni assunte nel corso del tempo, attraverso gli ampliamenti del 1970 e del 2007, che hanno cancellato per sempre la baita degli anni Cinquanta. E qui l’inchiesta di Pescara affronta un altro tornante decisivo: è il precedente del processo relativo all’ultimo ampliamento, finito con assoluzioni e prescrizioni a novembre dell’anno scorso. Un giudicato, spiega il procuratore Tedeschini, che riguarda unicamente l’ipotesi di una mazzetta pagata dai proprietari dell’epoca e non impedirà di riprendere in mano i fascicoli e riesaminare la storia dal punto di vista del cosiddetto iter concessorio. «È evidente – spiega il procuratore – che ogni costruzione deve avere una storia amministrativa documentata. Questo edificio ha avuto nel corso degli anni vari step, l’ultimo mi sembra decisamente interessante». Anche alla luce del sopralluogo che i Pm Tedeschini e Papalia hanno svolto domenica sul luogo della tragedia. Un flash che indica chiaramente la posizione dell’albergo distrutto al termine del canalone che ha dato potenza e velocità impressionati alla valanga di mercoledì. (Il Mattino)