Benevento. Il Paladino decapitato. Testa staccata dal busto di pietra all’interno dell’Hortus Conclusus

3 febbraio 2017 | 16:56
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Benevento. Il Paladino decapitato. Testa staccata dal busto di pietra all’interno dell’Hortus Conclusus

Benevento. Decapitata. Dalla furia vandalica dell’uomo o da quella, altrettanto assassina, dell’incuria e dell’indifferenza. Resta da scoprire solo questo dettaglio prima di dichiarare guerra ai «tagliateste» della cultura e dell’arte. Quella già caduta, nella guerra inconsapevole ai simboli e alla storia di Benevento, è la testa di uno dei busti in pietra realizzati da Mimmo […]

Benevento. Decapitata. Dalla furia vandalica dell’uomo o da quella, altrettanto assassina, dell’incuria e dell’indifferenza. Resta da scoprire solo questo dettaglio prima di dichiarare guerra ai «tagliateste» della cultura e dell’arte. Quella già caduta, nella guerra inconsapevole ai simboli e alla storia di Benevento, è la testa di uno dei busti in pietra realizzati da Mimmo Paladino all’interno dell’Hortus Conclusus. È stata ritrovata a terra, separata dal resto della scultura, nel corso di una ricognizione dei custodi. Campeggiava sulla sommità della terrazza superiore, interdetta ai visitatori perché considerata inagibile. Staccata con violenza umana, ma poi lasciata sul posto (terribile atto di vandalismo), oppure caduta da sola, marcita nelle sue strutture interne, dopo decenni di mancati interventi di manutenzione. Sentenza ancora più dura se dovesse essere provata questa seconda ipotesi. Il reperto è conservato ora negli uffici del sito culturale di vico Noce, una relazione sull’accaduto, da parte della polizia municipale, è stata presentata all’Amministrazione comunale. Nella lunga e contrastata storia che lega l’Hortus Conclusus alla città, azioni di vandalismo avevano interessato soprattutto le pareti, utilizzate a più riprese come sfondo per graffiti, mentre si era registrato un solo furto di reperti, una testa di cavallo incastonata nel muro, una quindicina di anni fa. L’opera d’arte fu ritrovata dopo qualche mese ma mai ricollocata al suo posto, sostituita da una copia. In tutto questo tempo più volte è stato lanciato l’allarme sullo stato di manutenzione dell’Hortus. Paladino ha spesso minacciato di ritirare il «dono» effettuato nel lontano 1992 (ma sulla donazione chiede invano che il Comune ne deliberi l’accettazione formale, e si è praticamente in vertenza legale), mentre la città cade ciclicamente sotto i riflettori nazionali proprio per la sua «ingratitudine» nei confronti dell’artista, certificata dalla scarsa volontà di custodirne intatta la sua opera e valorizzarla come attrattore speciale del turismo culturale. L’autore dell’Hortus, da parte sua, ha alternato momenti di amarezza e sfiducia totale a rinnovate dichiarazioni di ottimismo e di speranza. Ogni volta però mal ripagate. È capitato con la vicenda legata al complesso Unesco di Santa Sofia per il quale il Comune e i responsabili della gestione complessiva del sito, avevano chiesto che realizzasse l’altare della storica chiesa, patrimonio dell’umanità, per poi accantonare inspiegabilmente il progetto. Una serie di incomprensioni che avevano finito per rallentare il legame tra Paladino e la sua città. L’estate scorsa fu invitato dall’appena eletto sindaco Clemente Mastella per un confronto e per un sopralluogo all’Hortus (c’era anche il soprintendente regionale Buonomo). “Sarà la volta buona?”, sembrò pensare l’artista. Parlò, in quella occasione, di un possibile «rinascimento culturale» per Benevento. Ma di fronte ai suoi occhi, già piagati dalla visione dello spazio con le installazioni artistiche, si spalancò l’inferno del teatro retrostante, pensato per accogliere spettacoli (l’ultimo aveva visto protagonisti Ugo Chiti e Lucio Dalla) e divenuta invece una foresta e una discarica a cielo aperto. Questa parte di Hortus è stata ripulita l’agosto scorso da un centinaio di volontari, resta in piedi la promessa di restauro dell’Hortus per il quale si chiede aiuto ai privati. La somma sfiora i centomila euro e una cordata di imprenditori locali sta «riflettendo» da mesi senza però riuscire a compiere quel passo in più che servirebbe a salvaguardare l’opera. Intanto la testa di uno dei tesori firmati Paladino è già saltata (l’inchiesta tecnica dovrà scoprire se per mano violenta dell’uomo o per «distrazione colposa»). L’ipotesi del vandalismo è gravissima (manca, infatti, ancora un disciplinare che regoli la gestione del complesso, la sua sicurezza e l’accesso dei visitatori), quella della mancata manutenzione, forse ancora di più. In questo secondo caso, la testa sarebbe caduta da sola, per sfinimento, esalando l’ultimo «non ce la faccio più a stare in questa città di stupidi». (Nico De Vincentiis – Il Mattino)