Blitz a San Giorgio a Cremano. Marito e moglie convertiti vendevano armi all’Isis, arrestati

1 febbraio 2017 | 17:54
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Blitz a San Giorgio a Cremano. Marito e moglie convertiti vendevano armi all’Isis, arrestati

Aveva assunto il nome di un imam ricordato dal Corano, si era fatto chiamare «Jafaar» e dalla sua villetta di San Giorgio a Cremano dettava le regole di un possente traffico di armi. Droni, elicotteri, munizioni e quant’altro l’industria bellica di mezzo mondo è in grado di sfornare, passavano attraverso il suo computer, grazie alla […]

Aveva assunto il nome di un imam ricordato dal Corano, si era fatto chiamare «Jafaar» e dalla sua villetta di San Giorgio a Cremano dettava le regole di un possente traffico di armi. Droni, elicotteri, munizioni e quant’altro l’industria bellica di mezzo mondo è in grado di sfornare, passavano attraverso il suo computer, grazie alla sua capacità di mediazione internazionale. Eccolo Mario Di Leva, classe 1948, convertito all’Islam assieme alla moglie Anna Maria Fontana (in passato assessore comunale nel municipio vesuviano), entrambi finiti in manette nel corso del blitz messo a segno dal nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Venezia. Accanto ai coniugi di San Giorgio a Cremano, in cella anche Andrea Pardi, capo della Società italiana elicotteri, società con sede a Roma, specializzata nella vendita di elicotteri, materiale di armamento e di uso duale (strumenti che possono essere convertiti per uso bellico) verso i paesi esteri. Inseguito da un decreto di fermo anche un cittadino libico, si tratta di Mohamud Ali Shaswish, classe 1968, al momento irreperibile, mentre risultano indagati ma a piede libero anche Luca Di Leva, figlio dei due presunti trafficanti di armi, e due professionisti napoletani che si sarebbero impegnati in una mediazione ritenuta sospetta. Inchiesta coordinata dal pool anticamorra coordinato dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli e dai pm Catello Maresca, Maurizio Giordano e Cesare Sirignano (quest’ultimo in forza alla Procura nazionale antimafia), i blitz sono scattati ieri mattina nelle province di Roma, Napoli, Salerno e l’Aquila. Traffico internazionale di armi e di materiale dual use, di produzione straniera, merce introdotta tra il 2011 e il 2015 in paesi soggetti ad embargo, in particolare Iran e Libia. Difesi – tra gli altri – dagli avvocati Lucio Caccavale e Giuseppe De Angelis, i due coniugi questa mattina hanno avuto modo di replicare alle accuse e fornire la propria versione dei fatti, nel corso della convalida dei fermi dinanzi al gip. Ma torniamo alle accuse. Sotto i riflettori un commercio clandestino, perché vietato dalla comunità europea, che ha riguardato elicotteri, fucili d’assalto e missili terra aria. Persone note agli archivi dei servizi segreti italiani, sia in relazione ai ripetuti viaggi che la coppia aveva vissuto, specie in Iran o in Libia; sia in relazione al materiale sequestrato in questi mesi in casa dello stesso Di Leva: tante foto con i coniugi al centro di magazzini di armi, ma anche foto di un ricevimento in Iran, al cospetto dell’allora premier Ahmadinejad; oltre a scambi di messaggi che dimostrerebbero il potere relazionale della coppia di coniugi. Basta una piccola premessa, prima di raccontare il resto della storia: dalle intercettazioni sarebbero emersi presunti contatti tra i coniugi di San Giorgio a Cremano e i rapitori di quattro italiani sequestrati in Libia nel 2015. La circostanza sarebbe venuta alla luce da alcuni messaggi «whatsapp» di poco successivi al sequestro in cui i coniugi facevano riferimento alle persone già incontrate qualche tempo prima, alludendo a loro come autori del rapimento. Il sequestro si concluse a marzo del 2016 con la morte di due italiani, Fausto Piano e Salvatore Failla, mentre gli altri due rapiti, Gino Pollicandro e Filippo Calcagno, riuscirono a fuggire. Tra i quattro destinatari dei provvedimenti figura anche l’amministratore delegato della Società Italiana Elicotteri, Andrea Pardi, già coinvolto un un’altra inchiesta su traffico di armi e reclutamento di mercenari tra Italia e Somalia. Anche nel suo caso è doverosa una premessa: il manager italiano, in passato bersagliato da inchieste giornalistiche prima ancora che giudiziarie, potrà difendere la propria estraneità ai fatti a partire da questa mattina. Di sicuro la Procura è convinta di aver ricostruito anche il pressing della politica nei confronti della sua azienda. Per operare sul mercato – dicono gli inquirenti – sarebbe scattato un meccanismo ad incastro: assunzioni pilotate nella Società italiana elicotteri, su pressioni politiche, in cambio di accordi commerciali. Scrivono gli inquirenti: la Srl di Pardi provvede «all’assunzione di soggetti con prestigiosi incarichi istituzionali o con forti legami con il mondo politico, inquadrandoli a tempo indeterminato tra i propri dipendenti oppure utilizzandoli come collaboratori occasionali». È in tale contesto – scrivono gli inquirenti – che «va inquadrata l’assunzione di Maria Grazia Cerone, già segretaria dell’ex senatore Marcello Dell’Utri, ma anche la collaborazione con Riccardo Migliori, già deputato nel periodo 2008-2013 ed ex presidente Ocse, oltre alla collaborazione con Walter Pilati, già ufficiale dell’aeronautica militare (nomi di soggetti che vanno considerati estranei alle indagini)». Oltre ai quattro provvedimenti di fermo, sono state eseguite dieci perquisizioni nei confronti di altrettante persone per ipotesi di reato riconducibili al traffico internazionale di armi e di materiale dual use, di produzione straniera. Una fornitura di 13.950 M14, oltre a una eliambulanza convertibile ad uso militare, elicotteri di assalto sovietici MI-17, tre elicotteri Mangusta A129 e missili di vario genere: era una delle forniture, non andata in porto per «cause indipendenti dalla loro volontà» destinate al governo provvisorio libico nel marzo 2015. Il secondo capo di imputazione riguarda la fornitura di armamenti di produzione ex sovietica, tra cui missili anticarro e terra-aria: reato contestato alla coppia di coniugi e al libico Mohamud Alì Shaswish, latitante. Ma non è finita. Sotto i riflettori della Procura di Giovanni Colangelo finisce anche l’esportazione in Iran di pezzi di ricambio di elicotteri per la somma di 757.500 euro, attraverso una società panamense: è un’altra accusa contestata ai coniugi. Nella vicenda risulta indagato anche il figlio, Luca Di Leva, che avrebbe messo a disposizione un conto corrente sul quale fu versato una acconto di 100.000 euro (episodio risalente al 2011). Altro capitolo spinoso riguarda invece il sistema di trattative commerciali per l’introduzione in Iran di materiali per la produzione di munizioni. Il business è l’ultimo capo di imputazione contenuto nel decreto di fermo della Dda di Napoli. Gli inquirenti sottolineano che sia la Libia sia l’Iran sono Stati sottoposti a embargo internazionale su decisione del Consiglio dell’Unione Europea, secondo un diktat che non poteva sfuggire proprio a chi aveva fatto del traffico armi il proprio core business. E non è un caso che sono diverse le intercettazioni ambientali da cui emerge l’esigenza di parlare in codice: «In Italia siamo tutti intercettati – dice Mario Di Leva – a me la parola embargo non tanto piace». (Leandro Del Gaudio – Il Mattino)