Pompei. Digitalizzato il plastico in sughero del 1861: con una app viaggio virtuale in 3D tra domus e affreschi
Quando tra qualche mese sarà terminata la digitalizzazione del plastico di Pompei, custodito al Museo archeologico di Napoli, il visitatore virtuale, o l’internauta, che «entrerà» nel modello della città distrutta dal Vesuvio due millenni fa, vedrà, attraverso un’applicazione scaricabile su smartphone e tablet, affreschi e mosaici, peristili e colonne, fontane e strade così come li […]
Quando tra qualche mese sarà terminata la digitalizzazione del plastico di Pompei, custodito al Museo archeologico di Napoli, il visitatore virtuale, o l’internauta, che «entrerà» nel modello della città distrutta dal Vesuvio due millenni fa, vedrà, attraverso un’applicazione scaricabile su smartphone e tablet, affreschi e mosaici, peristili e colonne, fontane e strade così come li videro gli scavatori borbonici allorché riportarono alla luce il tessuto urbano antico, strappandolo a cenere e lapilli. Al progetto, i cui primi risultati verranno presentati dal direttore dell’Archeologico, Paolo Giulierini, lunedì 20 febbraio alle 16, nella sala della «didattica» del Museo Nazionale, hanno lavorato gli specialisti del «Laboratorio di Archeologia Immersiva e Multimedia» (LAIM) dell’Istituto per i «Beni Archeologici e Monumentali del Consiglio Nazionale delle Ricerche». L’obiettivo è quello di riscoprire e restituire il grande plastico alle sue originarie funzioni e alla fruizione del pubblico. La «chiave» che secondo gli scienziati ha consentito di comprenderne non solo il valore di prodotto culturale ma anche di svelarne le potenzialità archeologiche e divulgative è costituita dal suo rilievo 3D. Frutto di una campagna di documentazione fotografica, strutturata e messa in opera da Giovanni Fragalà, Samuele Barone, Danilo Pavone e Giulio Amara, archeologi e specialisti di archeologia immersiva e multimediale, il rilievo ha visto il plastico letteralmente «strisciato» con un carrello fotografico mobile appositamente costruito. L’area in oggetto è stata scansionata con metodi di «macro-aerofotogrammetria» (si tratta di foto panoramiche di superfici e rilievi, scattate dall’alto) sperimentata e applicata per la prima volta sul plastico di Pompei. In questo modo si sono acquisite tutte le notizie utili per la fotomodellazione dell’intero plastico, delle insulae e delle case. Il modello conservato all’Archeologico napoletano riproduce in scala 1 a 100 l’aspetto della città vesuviana nella sua completezza di strutture e decorazioni. E in effetti costituisce l’unico documento esistente per definire con certezza i danni del tempo e degli eventi bellici (il 23 agosto ’43 le fortezze volanti sganciarono tonnellate di bombe sugli scavi, ritenendo l’area presidiata da tedeschi) o naturali. Nel plastico, che occupa una superficie di quaranta metri quadri, mancano l’anfiteatro, l’insula Occidentalis e altre zone degli scavi, riportate alla luce dopo che il modello venne terminato, oppure ripensate e realizzate in questi anni. A mettere mano alla realizzazione del plastico – fatto in legno, sughero e colori a tempera – fu Felice Padiglione che, originario di Forino (Avellino), su progetto di Domenico Fiorelli, iniziò il lavoro nel 1861. «La realizzazione di un esatto modello virtuale del modello fisico» spiega Daniele Malfitana, direttore dell’IBAM CNR, «rappresenta un formidabile e potente strumento di studio e divulgazione. Il prodotto realizzato permetterà, infatti, di navigare dentro il plastico non soltanto per far conoscere al più ampio pubblico il grande contesto di Pompei così come è conservato oggi al Mann, ma anche di acquisirne una visione potenziata, consentendone un’osservazione e un’analisi che dal vivo non sarebbero altrimenti possibili. Il nostro studio trova ragion d’essere nel voler ridare voce a questo straordinario testimone, senza però trascurare lo straordinario valore dei due modelli, quello in sughero e il virtuale». I risultati di questo progetto di digitalizzazione saranno messi a disposizione in un primo volume, «Atlante fotografico» del plastico, che conterrà la documentazione analitica e fotografica, oltre a un software che consentirà appunto la navigazione in 3D. «Questa collaborazione – osserva il direttore Giulierini – conferma la volontà del nuovo corso del Museo di aprirsi alle cooperazioni scientifiche di eccellenza. La tecnologia rappresenta una nuova frontiera verso la quale un istituto storico come il nostro può e deve tendere, per entrare nelle sfide culturali del terzo millennio». (Carlo Avvisati – Il Mattino)