Scavi di Pompei. Sospetti e coincidenze. Gli «incidenti» nei periodi di tensione o nell’imminenza di eventi

1 febbraio 2017 | 17:11
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Scavi di Pompei. Sospetti e coincidenze. Gli «incidenti» nei periodi di tensione o nell’imminenza di eventi

Pompei. È vero che il fascino degli Scavi più celebri del mondo sta pure nello scarrupo, nelle pietre e i mosaici immortalati nell’attimo tremendo della fine, dell’eruzione. C’è dentro tutta l’estetica del rotto, del frammento che serve a ricostruire o a far immaginare il tutto. Però incerte occasioni a Pompei si esagera e l’uomo ci […]

Pompei. È vero che il fascino degli Scavi più celebri del mondo sta pure nello scarrupo, nelle pietre e i mosaici immortalati nell’attimo tremendo della fine, dell’eruzione. C’è dentro tutta l’estetica del rotto, del frammento che serve a ricostruire o a far immaginare il tutto. Però incerte occasioni a Pompei si esagera e l’uomo ci mette la propria parte. Quasi certamente, oltre al tempo e al suo lavoro incessante di logoramento, può incidere anche la trascuratezza dinanzi a un sito fragile e vulnerabile per sua stessa natura, ma pure qualche errore umano o addirittura la volontà di scassare. Scassare i rapporti, tenere sulla graticola la controparte, accendere riflettori opachi quando dovrebbero accendersi le luci della bellezza. Pompei cede spesso, ma ci sono delle strane coincidenze. Sospetti e veleni. Nient’altro, per ora. Perché le inchieste, quasi tutte aperte d’ufficio, hanno avuto come esito l’archiviazione. E ce ne sono state tante negli ultimi anni. Finite con un nulla di fatto, in unabolla di sapone penale. Hanno, però, contribuito a consolidare, ferita dopo ferita, numerose leggende nere su Pompei, bella e dannata. Anche sull’ultimo crollo, nella casa del Pressorio di Terracotta, lungo via dell’Abbondanza, è stata aperta un’inchiesta d’ufficio dalla Procura di Torre Annunziata per stabilire se c’è stato del dolo. Ipotesi difficile da dimostrare, ma che va esaminata per finire, come le altre, in faldoni polverosi. I turisti, che ieri hanno sfidato il cielo cupo, per lo più giapponesi e scolaresche attratte dalle sculture di Mitoraj più che dai basoli e dalle mura, non hanno notato nulla, giusto l’arrivo dei carabinieri in divisa a mettere sigilli. La storia dei crolli nelle diverse Regiones dell’antica città romana, solo nell’ultimo mezzo lustro, registra un elenco di tutto rispetto. Spesso e volentieri i piccoli o grandi disastri anticipano un evento importante (una visita istituzionale, un’inaugurazione in pompa magna) o seguono e si intersecano con duri confronti sindacali. Se si parte dal disastro più clamoroso (solo per fortuna senza vittime), si snocciola un rosario di guai. L’attimo scolpito nella mente è l’alba del 6 novembre 2010 quando la Schola Armaturarum Juventis Pompeiani, che prima dell’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo fungeva da palestra degli atleti dell’antica città romana, si trasformò in un cumulo di macerie. Da quel giorno infausto ogni qualvolta che all’ombra del Vesuvio si scatena un temporale si fanno gli scongiuri, augurandosi che le aree più deboli degli Scavi reggano. Ma i riti scaramantici funzionano poco. Lo si capisce dall’elenco dei cedimenti. Nemmeno un mese dopo il fatidico giorno della Schola distrutta, il 30 novembre 2010, a franare sotto il peso della pioggia fu il muro perimetrale della casa del Moralista. Un altro incidente sospetto che non avvenne negli Scavi veri e propri si verificò il 19 gennaio 2011. Scoppiò un incendio nella sala regia degli uffici-container della sovrintendenza. La Procura aprì un’inchiesta. Furono acquisiti tutti gli atti relativi all’incendio. Da una prima perizia dei vigili sembrava che si fosse trattato di corto circuito. Non mancarono sospetti di negligenza e di inquinamento delle prove. Ma tutto finì archiviato. Autunno e primavera sono le stagioni più a rischio per gli Scavi. Piova o non piova. Così il 22 ottobre 2011 a crollare fu un muro romano in una zona aperta al pubblico nei pressi di Porta di Nola. Passarono cinque giorni e il 27 ottobre 2011, dopo una notte di acqua a catinelle, si sbriciolò la muraglia di un pozzo interno all’edificio 41 della via Consolare. Gli incidenti proseguivano con una frequenza inquietante. Il 27 febbraio 2012 si distaccò dell’intonaco rosso pompeiano nella domus della Venere in Conchiglia. Un’estate tranquilla e l’8 settembre 2012, nessun armistizio, a crollare fu una trave in legno di circa quattro metri del peristilio di Villa dei Misteri. Poi a seguire, l’1 marzo 2014 si smosciò la spalletta del quarto arcone sottostante il tempio di Venere e il giorno dopo venne giù il muretto di una tomba della necropoli di Porta Nocera. Quasi quattro mesi dopo, quando a Pompei era atteso il ministro della Cultura, Dario Franceschini, il 26 giugno, nel corso dei monitoraggi ordinari, i tecnici della soprintendenza rilevarono due cedimenti strutturali in una bottega del vicolo Storto, situata nella Regio VII. Un segnale brusco e forte. A chiudere i crolli degli ultimi mesi: il 4 gennaio 2015 scivolò giù una parte del terreno del giardino della Casa di Severus che si era riversato sul muro di contenimento del giardino della prestigiosa domus. E un mese dopo, il 6 febbraio, la furia di un temporale colpì l’intonaco rosso pompeiano di una parete dell’ingresso della splendida domus del Centenario. Di fronte a questo sperpetuo, in gran parte precedente il suo arrivo, Osanna taglia corto: «Non ho alcun sospetto, mi limito alla constatazione di una coincidenza tra le tensioni sindacali e questo danno interno agli Scavi». Dal suo ufficio si mostra calmo e sicuro: «Attendo i risultati delle indagini sul crollo della casa del Pressorio che mi auguro portino a conclusioni negative, visto le considerazioni che da più parti sono girate in questi giorni». Non vorrebbe buttare legna sul fuoco nel momento topico di una vertenza con i sindacati autonomi, l’Unsa e l’Flp, ma non può evitare di ricordare che la legge della coincidenza scontro-crollo ha funzionato ancora una volta. «A Pompei, fino a qualche anno fa» aggiunge «c’era l’abitudine di non denunciare i crolli tempestivamente. Ma di tenerli celati per poi renderli pubblici a comando, scoprendoli alla vigilia della visita di un ministro o di un tavolo di concertazione tra sindacati e amministrazione. Forse per accendere i riflettori su vicende che danneggiano l’immagine del sito archeologico. Oggi questo non avviene più». Contro la scia di quelli che definisce «cripto scioperi» (siamo pur sempre in un tempio dell’archeologia) a orologeria, il sovrintendente assicura che entro il 2018, grazie al monitoraggio periodico nell’ambito della manutenzione programmata del Grande Progetto Pompei, la città di pietra sarà sicura al cento per cento. Ma, alla fine della giostra, lancia un nuovo siluro e annuncia che sta per disinnescare definitivamente la trappola delle microsigle che con pochi assenti fermano i tornelli: «Incrementerò la flessibilità e metterò mano ai turni di notte che impegnano attualmente nove persone» annuncia. «Grazie all’incremento della videosorveglianza potrò dirottare i custodi notturni nei turni diurni». E addio giochetti. Ma è tutta altra legna da ardere sulla pira dello scontro. (Pietro Treccagnoli – Il Mattino)