Stato-mafia, Riina decide di rispondere in aula. Sarà interrogato il 16 febbraio. Il legale: dirà che non c’entra nulla
Disteso sulla barella nella saletta delle videoconferenze del carcere di Parma in cui sconta un numero di ergastoli che nemmeno ricorda, sussurra al telefono un sì che nessuno si aspetta. «Avvocato, se lei mi dice che devo rispondere, io rispondo». Sarà l’età, saranno le precarie condizioni fisiche, ma di certo la grinta di un tempo […]
Disteso sulla barella nella saletta delle videoconferenze del carcere di Parma in cui sconta un numero di ergastoli che nemmeno ricorda, sussurra al telefono un sì che nessuno si aspetta. «Avvocato, se lei mi dice che devo rispondere, io rispondo». Sarà l’età, saranno le precarie condizioni fisiche, ma di certo la grinta di un tempo non c’è più. E dalle parole bisbigliate nel 2013 a un compagno di detenzione, piene di livore e odio per magistrati e istituzioni, sembra passato molto tempo. «Sì, secondo me farebbe bene a sottoporsi all’esame», dice l’avvocato di una vita, Giovanni Anania. E Totò Riina, sanguinario capo di Cosa nostra, cliente solitamente tutt’altro che docile, acconsente. Il colpo di scena – sarebbe la prima volta in assoluto che il boss stragista non si avvale della facoltà di non rispondere – passa quasi inosservato. Al termine di una delle tante udienze del processo sulla cosiddetta trattativa tra la mafia e pezzi delle istituzioni in corso a Palermo, in cui il padrino di Corleone, ormai alla soglia degli 87 anni, è imputato di minaccia a Corpo politico dello Stato. È il presidente della corte d’assise, Alfredo Montalto, a porre il problema dell’esame degli imputati, dieci in tutto compreso Riina. Terminata l’istruttoria chiesta dalla Procura, deve organizzare il calendario e programmare gli interrogatori. I legali, uno a uno, “respingono” l’invito. Alcuni, come il generale dei carabinieri Mario Mori e l’ex ministro Nicola Mancino, preferiscono affidare le loro difese alle dichiarazioni spontanee. L’ex vicecomandante del Ros ne ha fatte diverse. A Mancino toccherà il 10 febbraio. Gli altri – boss, pentiti, ex politici come Marcello Dell’Utri ed ex vertici dell’Arma – scelgono di non rispondere. Finora si era sottoposto all’esame solo Massimo Ciancimino, testimone e imputato al tempo stesso, spettatore privilegiato del dialogo che i carabinieri, tramite suo padre, avrebbero avviato proprio con il capomafia di Corleone. Il superteste da una settimana è in cella per scontare due condanne definitive a 4 anni e 5 mesi. Ora la parola passa a Riina che, secondo l’accusa, alla proposta di dialogo avviata dal Ros dopo gli attentati mafiosi del ’92 avrebbe risposto col “papello”, l’elenco con i diktat di Cosa nostra allo Stato. Un pezzo di carta di dubbia autenticità portato ai pm da Ciancimino che proverebbe che la trattativa ci fu e coinvolse l’ala stragista della mafia. «Gli ho detto di rispondere, perché questo è un processo vuoto, una bufala montata ad arte per liquidare Mori e Subranni (ex capo del Ros). E per toglierli di torno era necessario metterci in mezzo qualche mafioso», spiega il legale del boss, certo che il suo cliente possa dare un contributo di chiarezza. Ma, e ne sono convinti anche gli investigatori, chi si aspetta rivelazioni a sorpresa, colpi di scena o ammissioni dall’interrogatorio di Riina rischia di rimanere deluso. «Non c’è nulla da ammettere, so già cosa dirà – anticipa il legale – Dirà “ma quale trattativa se in quel periodo mi cercavano per arrestarmi”». Di certo, però, a prescindere dal contenuto delle dichiarazioni da cui realmente è difficile attendersi il ripudio dell’omertà di una vita, resta una novità assoluta la disponibilità manifestata dal capo di Cosa Nostra. Rarissimamente è intervenuto durante anni di processi a suo carico. E mai sedendo sul banco degli imputati. Rimane clamoroso lo show fatto davanti ai media a Reggio Calabria, nel 1994, al dibattimento per l’omicidio del giudice Scopelliti, quando davanti alle telecamere, in una pausa d’udienza, elencò i nomi dei suoi nemici: il «signor Violante», il «signor Caselli da Palermo» e il «signor Arlacchi». Una «combriccola comunista», disse. Stavolta dovrà attenersi alle domande di pm e avvocati e minacce e messaggi trasversali non potrà mandarne. E sarà interessante vedere come il vecchio e malato boss, ancora però saldo alla guida di Cosa nostra, parlerà ai magistrati. «Quale piega abbia preso il processo è ormai chiaro – dice il suo legale pensando all’assoluzione, dalla stesse accuse, dell’ex ministro Calogero Mannino, scagionato l’anno scorso dal gup con una sentenza che è un colpo pesante per l’impianto accusatorio – Riina non ha nulla da nascondere, per questo ha accettato». (Laura Sirignano – Il Mattino)