Tra veglia e sonno con William Shakespeare

9 febbraio 2017 | 10:11
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Tra veglia e sonno con William Shakespeare
Tra veglia e sonno con William Shakespeare
Tra veglia e sonno con William Shakespeare

Stasera alle ore 21, il sipario del teatro Verdi di Salerno si leverà su Lello Arena e Isa Danieli interpreti del capolavoro del Bardo secondo Ruggero Cappuccio  Di OLGA CHIEFFI  Il sogno di Shakespea Re di Napoli continua nella più amata delle sue commedie “A Midsummer Night’s Dream”. Sotto il cielo di una notte di […]

Stasera alle ore 21, il sipario del teatro Verdi di Salerno si leverà su Lello Arena e Isa Danieli interpreti del capolavoro del Bardo secondo Ruggero Cappuccio

Di OLGA CHIEFFI

Il sogno di Shakespea Re di Napoli continua nella più amata delle sue commedie “A Midsummer Night’s Dream”. Sotto il cielo di una notte di plenilunio, il nostro Shakespea-Ruggero torna a parlare quel napoletano che suona come una fantasiosa lingua neobarocca. Il ritmo e la musicalità del teatro di Ruggero Cappuccio torna al teatro Verdi da stasera, alle ore 21, sino domenica con replica in pomeridiana, alle ore 18,30, con “Un sogno d’una notte di mezza estate”, quella particolare sospensione fra veglia e sogno con protagonisti Lello Arena, nei panni di Oberon e Isa Danieli, che darà corpo a Titania, marito e moglie burattinai e affittacamere di presunti musicisti. Lei racconterà al marito strani sogni e strane realtà: i pupazzi conservati in casa posseggono vita propria, si animano di notte e saranno proprio loro, ad evocare il racconto del “Sogno” shakespeariano. Con Lello Arena e Isa Danieli, diretti da Claudio De Palma, ci saranno in palcoscenico Fabrizio Vona (Puck), Renato De Simone (Lisandro/Elfo Onorato) Enzo Mirone (Demetrio/Elfo Salvatore), Rossella Pugliese (Elena/Elfo Annunziata) e Antonella Romano (Ermia/Elfo Concezione) con i costumi di Annamaria Morelli e la funzionale scenografia di Luigi Ferrigno. Shakespea si presenta sulla scena con una gerla zeppa di saperi letterari, dalla quale cava, mescola, combina ogni volta gli spunti più eterogenei. Sono plurali gli ambienti, nonostante tutto parta da un grande letto e da una sala di un antico palazzo napoletano. La struttura del Dream è, infatti, a cerchi concentrici, dove il mondo delle fate circonda il mondo degli umani e della città, e questo racchiude il mondo degli innamorati, rivelando quell’inesauribile ricchezza shakespeariana che sta nell’accettare insieme l’alto e il basso, il mondo delle corti e quello delle taverne, e di metterli poi a confronto con un mondo medio, che può essere quello della città borghese dove si risolvono i conflitti, o quello della foresta e delle fate, volta a volta luogo dell’oscura complicazione dei sentimenti o delle rivelazioni benefiche e risolutive. E’ l’estetica rinascimentale delle corrispondenze fra le parti del creato, è il regime metaforico da essa nutrito che rifulge in queste commistioni, per l’ultima volta prima della condanna, sia da parte scientifica, sia da parte religiosa, dell’espressione figurata come “veicolo delle passioni”. E’ questa l’estetica che spinge un elisabettiano a individuare le continue corrispondenze e simmetrie fra i vari livelli, aperti e segreti, del suo testo. Ne è un esempio il continuo gioco trasformistico con cui i personaggi si travestono, cambiano di sesso, si fingono altri, diventano altri, amplificando il carattere tutto immaginato e artificioso della recitazione, sollecitando in ogni momento la grazia, ma anche le scabrosità di un teatro ricolmo di vicende amorose. Nel Dream la cornice esplora la relazione fra l’oggi e un passato mitico, e fra ordine e disordine, fra una sessualità incontrollata e aggressiva e il suo contrario, la legge della socialità, per suggerire ancora una volta che il mondo dell’immaginazione può risultare più fertile, profondo e vero di quello della consuetudine, come quella emanazione di emozioni intraducibile, che è il teatro di Ruggero Cappuccio, come intraducibile è la sua lingua dalla quale bisogna solo lasciarsi trasportare, perché la potenza e il valore della lingua del nostro Shakespea è spesso più nella forma e nel suono, che nel contenuto.