Trump dichiara guerra alle tribù Sioux cancellando gli accordi con Obama: un oleodotto attraverserà le terre indiane
Gli indiani marceranno su Washington. Il prossimo 10 marzo migliaia di esponenti delle 562 tribù ancora esistenti negli Stati Uniti scenderanno nella capitale dei «bianchi» per protestare contro la nuova Amministrazione. In sole due settimane, infatti, Donald Trump ha cancellato buona parte della distensione che la precedente Amministrazione aveva tessuto con i nativi americani. Con […]
Gli indiani marceranno su Washington. Il prossimo 10 marzo migliaia di esponenti delle 562 tribù ancora esistenti negli Stati Uniti scenderanno nella capitale dei «bianchi» per protestare contro la nuova Amministrazione. In sole due settimane, infatti, Donald Trump ha cancellato buona parte della distensione che la precedente Amministrazione aveva tessuto con i nativi americani. Con due ordini esecutivi, Trump ha rimesso in opera la costruzione di due oleodotti – il Keystone XL e il Dakota Access – e con un terzo decreto ha ordinato l’inizio della costruzione del muro ai confini con il Messico. Si tratta di iniziative che le tribù indiane hanno fortemente criticato. L’oleodotto Dakota Access infatti passerà su terreni sacri per la confederazione dei Sioux e proseguirà sotto il lago Oahe, da cui la riserva indiana trae l’acqua potabile. La costruzione del Muro con il Messico invece prevede di espropriare una lunga fetta di territorio alla riserva degli indiani Tohono in Arizona. Trump ha promesso che la costruzione dei due oleodotti porterà migliaia di posti di lavoro e ha chiesto che per le infrastrutture vengano utilizzate tubature prodotte negli Usa. Molti dei suoi elettori sono contenti di queste decisioni, così come lo è l’industria del petrolio. Invece la confederazione delle sette tribù Sioux ha reagito nel modo opposto. E nelle gelide lande del Dakota del Nord sono ricomparsi i manifestanti. La protesta della confederazione indiana era andata avanti per mesi nel corso del 2016, fino a che lo scorso novembre il presidente Obama aveva dato ordine che i lavori venissero temporaneamente interrotti e che l’azienda dell’oleodotto, aiutata dai genieri dell’esercito, negoziasse con la tribù per tracciare un percorso alternativo. Il decreto operativo di Trump ha cancellato quello di Obama, ha abolito la richiesta di cercare un percorso alternativo e ha rimesso in moto i lavori. Prima dell’intervento di mediazione di Obama la protesta era andata crescendo al punto che l’accampamento dei dimostranti era arrivato a contare 7.000 partecipanti, in rappresentanza di 200 diverse tribù dell’America del nord. Per loro non si trattava più solo di fermare un oleodotto che potrebbe inquinare l’acqua e stravolgere terreni sacri dove sono sepolti i loro avi, si trattava di una lotta molto più vasta, anche in vista dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. L’arrivo di Trump e i suoi ordini hanno dimostrato che quei timori erano fondati. La resistenza contro l’oleodotto che dovrebbe portare il greggio dal North Dakota fino all’Illinois è diventata il simbolo della lotta per i diritti delle nazioni indiane. Dave Archambault, presidente dei Sioux di Standing Rock, ha ricordato come i cow boy bianchi suprematisti che un anno fa avevano occupato il parco nazionale di Malheur nell’Oregon sono stati tutti assolti in tribunale, mentre «noi siamo stati accusati di ribellione, mentre manifestavamo pacificamente. Siamo stati assaliti dalla polizia con le armi, i carri armati e gli elicotteri, i nostri anziani sono stati trascinati via mentre pregavano, le nostre nonne buttate per terra, le nostre donne perquisite. Quattrocento di noi sono stati arrestati. C’è un sistema di giustizia per i bianchi e un’altra per gli indiani». La volontà dei nativi di opporsi a Trump potrebbe finire nel sangue. I Tohono dell’Arizona hanno annunciato senza mezzi termini che, se il governo federale volesse tentare di costruire il muro col Messico nella loro riserva, opporranno una resistenza anche fisica. Verlon Jose, il capo della tribù che conta 28.000 membri, è stato chiaro: «Dovranno passare sul mio corpo». E per Trump quella di ieri è stata un’altra giornata all’insegna di polemiche e scontri. Nel mirino del presidente, la magistratura. Il presidente degli Stati Uniti accusa i giudici di «essere troppo politicizzati». Parlando dei giudici che in queste ore stanno decidendo il destino del suo ordine esecutivo in materia di immigrazione, Trump – incontrando ufficiali di polizia di Washington – sostiene che «i tribunali sembrano essere così politicizzati e sarebbe grandioso per il nostro sistema giudiziario se potessero leggere una dichiarazione e fare ciò che è giusto». Insomma, anche Trump scopre le «toghe rosse». (Anna Guaita – Il Mattino)