Vasto. Spara all’uomo che 7 mesi fa investì sua moglie. L’arma del delitto lasciata sulla tomba della donna
«Mi chiamo Massimo Decimo Meridio, comandante dell’esercito del Nord, generale delle legioni Felix, servo leale dell’unico vero imperatore Marco Aurelio. Padre di un figlio assassinato, marito di una moglie uccisa… avrò la mia vendetta». Sul profilo Facebook di Fabio Di Lello, l’uomo che ieri ha ucciso a Vasto (Chieti) l’investitore di sua moglie, campeggia l’epitaffio […]
«Mi chiamo Massimo Decimo Meridio, comandante dell’esercito del Nord, generale delle legioni Felix, servo leale dell’unico vero imperatore Marco Aurelio. Padre di un figlio assassinato, marito di una moglie uccisa… avrò la mia vendetta». Sul profilo Facebook di Fabio Di Lello, l’uomo che ieri ha ucciso a Vasto (Chieti) l’investitore di sua moglie, campeggia l’epitaffio del film «Il gladiatore» e la foto della donna morta nell’incidente, Roberta Smargiassi. Sulla foto, postata il 5 novembre scorso, campeggia la scritta «Giustizia per Roberta». Quella giustizia che ieri Di Lello si è fatto da solo uccidendo con tre colpi di pistola Italo D’Elisa, 22 anni, ex operaio della Denso. Per poi depositare simbolicamente l’arma sulla tomba della donna, che aveva 34 anni. Di Lello gli ha sparato davanti a un bar, con avventori e passanti che hanno assistito impietriti alla scena. Poi si è allontanato, ma non voleva tentare la fuga. Ha semplicemente portato a termine la sua missione di morte andando a trovare la sua Roberta, la cui perdita lo aveva sconvolto. «Ho ucciso l’assassino di mia moglie, ora sono al cimitero, ho lasciato la pistola sulla sua tomba. Ora vado alla polizia e confesso tutto». Queste le parole che il trentaquattrenne, ex calciatore del San Salvo attualmente impegnato nel forno di famiglia, avrebbe pronunciato in una telefonata al suo amico. L’arma è stata ritrovata dai poliziotti avvolta in una busta di plastica vicino la tomba di Roberta. Poi, accompagnato dal suo avvocato, il trentaquattrenne si è consegnato ai carabinieri. Una vendetta che probabilmente era stata pianificata da tempo. Fabio Di Lello ormai accecato dal dolore ha voluto agire senza aspettare. L’udienza preliminare a carico di D’Elisa, per la procura imputato di omicidio stradale, era fissata questo mese, ma il vedovo, inconsolabile, avrebbe deciso di vendicarsi a modo suo. Non c’era giorno che Fabio Di Lello non andasse al cimitero. Ogni giorno da quando sono stati celebrati i funerali della sua amata moglie, Roberta. Ogni giorno per fermarsi davanti alla lapide per accarezzare la foto della donna che aveva sposato nell’ottobre del 2015. C’è chi dice che si fermasse addirittura, qualche volta persino, a mangiare. Fu un tragico incidente, il 1 luglio scorso, a causare la morte della moglie trentaquattrenne. La donna in sella al suo scooter Yamaha si scontrò con la Fiat Punto guidata da D’Elisa, all’incrocio tra Corso Mazzini e Via Giulio Cesare, a Vasto. Dopo l’impatto la ragazza si schiantò contro il semaforo che regolava l’incrocio, ricadendo pesantemente sull’asfalto. Roberta Smargiassi morì in ospedale dopo il ricovero. E da allora il marito non si è più ripreso dal destino che gli ha strappato la sua amata che forse aspettava anche un bambino. «È una tragedia nella tragedia, questo è lo sconforto»: dice poche parole sull’uccisione di Italo d’Elisa, il procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale, Giampiero Di Florio. Fabio Di Lello ieri pomeriggio con freddezza avrebbe scambiato anche qualche parola con la sua vittima prima di estrarre la pistola dalla tasca e colpire frontalmente all’addome il giovane. Pietro Falco, direttore di medicina legale dell’Asl Lanciano-Vasto-Chieti, ha eseguito sul posto una prima ricognizione cadaverica, ma per stabilire l’esatto numero dei colpi e quali siano stati letali sarà necessaria l’autopsia. Le indagini saranno coordinate dal sostituto procuratore Gabriella De Lucia. Intanto Di Lello è guardato a vista nella caserma dei carabinieri della Compagnia di Vasto dove è in stato di fermo dopo essersi costituito. Con lui ci sono gli avvocati Giovanni Cerella e Pierpaolo Andreoni. Italo, invece, come racconta su Facebook, era un volontario della Protezione civile. E proprio sul social network scriveva: «Quando mi chiedono perché faccio il volontario e se mi pagano, io rispondo: sì, mi pagano, e nemmeno poco. Mi pagano con un sorriso, con un “grazie”, con la consapevolezza di avere dato qualcosa di prezioso a qualcuno in difficoltà. E questo, per me, ha un valore inestimabile». «La mia Roberta mi è stata rubata, rubata ai propri sogni, ai progetti di vita, rubata al suo desiderio di essere madre, rubata al mio amore, agli amici, al suo amore per la vita, al suo sorriso, ai suoi genitori, a tutti noi». Lo scriveva, invece, Fabio annunciando, nello spazio dedicato ai lettori del portale internet «Zona locale» una messa in suffragio per la moglie il 2 agosto scorso. «Hanno trasformato il nostro dolore e la sua morte come fosse un videogioco», aggiungeva Fabio per poi proseguire: «Mi chiedo, dov’è giustizia? Mi rispondo, forse non esiste! Non dimentichiamo, lottiamo, perché non ci sia più un’altra Roberta». (Antonio Di Muzio e Gianni Quagliarella – Il Mattino)