Allarme agromafie, Salerno è a rischio. Le infiltrazioni della malavita nel settore trainante dell’economia locale
Ecco la camorra a “chilometro zero”, quella che segue dal campo alla tavola i prodotti dell’eccellenza campana e salernitana. Facendo affari milionari e riciclando soldi sporchi. Secondo il quinto Rapporto #Agromafie2017 – elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura presentato ieri a Roma – il volume d’affari complessivo annuale dell’agromafia è salito a […]
Ecco la camorra a “chilometro zero”, quella che segue dal campo alla tavola i prodotti dell’eccellenza campana e salernitana. Facendo affari milionari e riciclando soldi sporchi. Secondo il quinto Rapporto #Agromafie2017 – elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura presentato ieri a Roma – il volume d’affari complessivo annuale dell’agromafia è salito a 21,8 miliardi di euro con un balzo del 30% nell’ultimo anno. Una stima che, con tutta probabilità, è ancora largamente approssimativa per difetto «perché restano inevitabilmente fuori i proventi derivanti da operazioni condotte estero su estero dalle organizzazioni criminali, gli investimenti effettuati in diverse parti del mondo, le attività speculative poste in essere attraverso la creazione di fondi di investimento operanti nelle diverse piazze finanziarie, il trasferimento formalmente legale di fondi attraverso i money transfer in collaborazione con fiduciarie anonime e la cosiddetta banca di “tramitazione”, che veicola il denaro verso la sua destinazione finale. Uno spaccato inquietante, con la provincia di Salerno che compare al 14esimo posto della speciale classifica sull’intensità del fenomeno agromafia nel settore agroindustriale in Italia. Su base regionale, invece, Salerno è al terzo posto dopo Caserta e Napoli, staccando di netto le altre due province, Avellino e Benevento. Secondo il Rapporto, nonostante il crescente ruolo giocato dalle agromafie nel Settentrione, è nel Mezzogiorno «che esse esprimono una maggiore e nociva diffusione». Le province campane maggiormente interessate dal fenomeno agromafia sono quelle di Caserta e Napoli «dove, con l’indiscutibile e intenso controllo del territorio operato dalla camorra, è possibile riscontrare, oltre ad alcune fattispecie omogeneamente diffuse (quali il controllo dell’autotrasporto, l’estorsione alle aziende agricole e la distribuzione su scala nazionale di prodotti adulterati nel settore della ristorazione), alcuni tratti distintivi». Nella provincia di Caserta l’agromafia «si esprime nella sua forma più tradizionale, mediante un controllo oppressivo e ramificato dell’intera filiera agroalimentare, con particolare riguardo al comparto ortofrutticolo». Nel Napoletano l’agromafia «opera maggiormente agli stadi di lavorazione o manifattura (come nel caso del pane clandestino, ad esempio) o di distribuzione e approvvigionamento di prodotti connessi alla filiera agroalimentare». A Bari in Puglia le fattispecie criminose più significative sono costituite «dalla sofisticazione (soprattutto dell’ortofrutta e dell’oleario), ma si assiste anche ad una escalation di furti nelle campagne». Per quel che concerne le province calabresi, «la casistica criminosa è particolarmente ampia: dal controllo delle produzioni agricole e della pastorizia, con il relativo indotto occupazionale, agli incendi boschivi, dalla adulterazione dei prodotti oleari, caseari e vinicoli fino al preoccupante il crescente fenomeno dell’abigeato». Nel territorio siciliano sono state rilevate «massicce infiltrazioni nel mercato ortofrutticolo (dagli agrumi alla frutta fino agli ortaggi a foglia) e nella pesca (in particolar modo a Caltanissetta)». I comparti della distribuzione e dei trasporti dei prodotti agricoli e del pescato «subiscono una forte infiltrazione da parte delle organizzazioni mafiose, contribuendo così all’artificiale rincaro dei prezzi dal produttore al distributore finale». Risultano, inoltre, «fortemente significativi i furti di macchinari agricoli e i danneggiamenti delle colture, fenomeni da associarsi alle fattispecie criminose che ne sono la causa (estorsioni, usura, racket estorsivo). La provincia salernitana è diventata col passare degli anni uno dei punti di forza dell’economia regionale nel settore dell’agricoltura. E questo per i suoi prodotti di eccellenza e la capacità degli imprenditori di investire in nuovi sistemi produttivi, aprendo così ai mercati nazionali ed internazionali. Un’economia solida (l’agricoltura è il settore in provincia di Salerno che ha visto la maggiore crescita di occupati, con il +11,9%, un incremento dieci volte superiore agli altri settori che registrano una perdita lavoro della forza impiegata nel caso dell’industria e di un +1% per quanto riguarda il commercio) che non poteva non sfuggire agli appetiti della camorra ed alla criminalità in genere. Basti pensare al racket dei trasporti o all’escalation di furti nelle campagne della Piana del Sele, come nella zona degli Alburni. Aziende medio-piccole messe in ginocchio da attentati incendiari (fenomeno che è in forte aumento soprattutto tra Cilento e Diano con l’incendio delle balle di fieno), oppure dal mercato parallelo dei prodotti contraffatti (soprattutto nel settore caseario). A questo si aggiunge il fenomeno del “caporalato”, vera piaga soprattutto nella Piana del Sele, con lavoratori sfruttati e sottopagati, in balìa dei loro aguzzini e costretti a vivere in baracche. Il presidente di Coldiretti Salerno, Vittorio Sangiorgio, nel corso di un convegno proprio sul tema del caporalato avanzò tempo fa una proposta: un campus per i migranti nella Piana del Sele da realizzare grazie ai Pon “Legalità e Sicurezza” «per migliorare la qualità di vita dei lavoratori stranieri in agricoltura e favorirne l’integrazione». Basterà? (La Città di Salerno)