Pd, Renzi: ‘Vogliamo cambiare Italia, renderla più giusta’ Su Facebook scrive: ‘Popolo Lingotto insieme contro catastrofismi per farla più forte’
Sposta l’asse un po’ più a sinistra, Matteo Renzi. E rivendica l’ambizione di un Pd che, con vocazione maggioritaria pur dopo l’improvviso ritorno al proporzionale, sia motore del “cambiamento dell’Italia”, perché sia “più giusta e più forte”. “Noi siamo il Partito democratico e non torniamo indietro ma vogliamo guardare avanti”, dice Maurizio Martina, classe 1978, […]
Sposta l’asse un po’ più a sinistra, Matteo Renzi. E rivendica l’ambizione di un Pd che, con vocazione maggioritaria pur dopo l’improvviso ritorno al proporzionale, sia motore del “cambiamento dell’Italia”, perché sia “più giusta e più forte”. “Noi siamo il Partito democratico e non torniamo indietro ma vogliamo guardare avanti”, dice Maurizio Martina, classe 1978, nativo Ds, che affianca Renzi nella corsa per il congresso: “Diversi e uniti è possibile”. La prospettiva, afferma Martina che con il suo intervento contende ad Andrea Orlando la rappresentanza della sinistra Pd, è quella di un “nuovo centrosinistra largo e inclusivo”. Non si può, dice a chi come Bersani è andato via, rimettere le lancette indietro e tornare “alle vecchie case madri” e al centrosinistra col “trattino”.
Da Roma, nelle stesse ore, arriva la ‘chiamata’ di Giuliano Pisapia, che chiede al Pd di indicare le alleanze, scegliere il campo di gioco. E’ chiaro, replica Matteo Orfini, che il Pd non può allearsi con Alfano e con un partito che si chiama “Nuovo centrodestra”. Ma dal palco Dario Franceschini ricorda che la realtà impone di guardare al centro: “Auspichiamo che nel centrodestra nasca un’area moderata con cui dialogare e del resto i numeri ci spingono a questo”, afferma. “Il rapporto con Pisapia è naturale e privilegiato”, afferma Ettore Rosato. Ma invita a guardare al quadro creato dalla legge elettorale. Dopo le primarie Dem si potrà davvero entrare nel vivo sulla legge elettorale e a quel punto, nonostante un diffuso pessimismo sulle chance di cambiarla, l’impegno ribadito dai renziani è per il Mattarellum o una correzione maggioritaria. Sergio Chiamparino, che in un applauditissimo discorso dal palco ribadisce di non voler abbandonare la “barca” renziana nel momento della difficoltà perché sarebbe “vigliacco”, invita a non farsi tentare dall’autosufficienza e declinare la parola “egemonia” nel senso di dialogo a sinistra o, se il proporzionale lo imporrà, alleanze. Ma in quel caso, nota un dirigente renziano, la responsabilità è in capo anche a Pisapia: i parlamentari a lui vicini, ex Sel, siedono nei gruppi “con D’Alema, per il quale Renzi è nemico più di Berlusconi”.
Nella seconda giornata del Lingotto resta in sordina il caso Consip. Luca Lotti, che la prossima settimana affronterà la mozione di sfiducia alla Camera, è assente ma solo per ragioni familiari e domenicaci sarà. Nelle discussioni del gruppo di lavoro sulla legalità viene ribadita una linea totalmente garantista. Stefano Graziano, indagato e poi archiviato per associazione camorristica, invoca una legge per tenere segreti gli avvisi di garanzia ma – mentre il magistrato Nicola Gratteri la boccia – il renziano David Ermini frena: il tema è culturale. Sul palco si alternano ministri, da Claudio De Vincenti a Pier Carlo Padoan. Domani ci sarà Paolo Gentiloni. Emma Bonino, applauditissima, parla di immigrazione e bacchetta Renzi sugli attacchi frequenti ai “tecnici” europei. L’ex premier ascolta dal retropalco e si fa vedere in platea solo sul finale, quando Massimo Recalcati lancia la scuola di formazione politica milanese che si chiamerà Pier Paolo Pasolini. Il rilancio dell’ex premier passa dal partito – in questo, vien fatto notare, il Lingotto è diverso dalla sua Leopolda della società civile – e da una nuova guida più plurale. Al suo fianco ha una nuova classe dirigente di 30-40enni che si son fatti le ossa da amministratori (da Matteo Richetti al presidente dell’Anci Antonio Decaro, da Giuseppe Falcomatà a Matteo Ricci). Sul palco torna Maria Elena Boschi, che raccoglie applausi tiepidi, dice che la sconfitta al referendum “è stata dolorosa ma siamo in cammino e la nostra avventura è solo all’inizio”. Beppe Grillo attacca Renzi: con la piattaforma on-line “Bob”, attacca, copia le idee del M5s. La differenza tra M5s e Pd, replica il renziano Andrea Marcucci, è che loro hanno “venti votanti alle primarie e il Pd un milione”. L’ex premier si tiene lontano dalle polemiche, anche dagli attacchi di Michele Emiliano che lo definisce “pericoloso”, e invita a guardare alla platea: “Mi emoziono, la nostra forza è un popolo che non si rassegna al catastrofismo”.
Michele Emiliano, candidato alla segreteria del Pd, commentando le frasi di Renzi sulla compatibilità tra il ruolo di segretario del partito e di presidente del consiglio, ha detto: “Il segretario del partito è una cosa, il candidato premier è un’altra. Se il segretario fosse così bravo da essere il candidato premier dovrebbe dimettersi da segretario”. “È un meccanismo – ha detto Emiliano – che una volta applicavamo senza problemi e che è stato cambiato in peggio nell’ultimo periodo”. “Io non ho capito la proposta di Renzi, neanche da questa triste kermesse che sta facendo. Se insiste nello sbagliare è un pericolo per sé stesso e per gli altri”, ha detto ancora Emiliano. “Non riesco a capire qual è la differenza tra i fallimenti dei 1000 giorni precedenti e quello che intende fare in futuro. O si è pentito di quello che ha fatto in passato e allora mi farà capire in cosa vuole cambiare,o insiste nello sbagliare”.
E a Roma Giuliano Pisapia indica gli obiettivi dell’iniziativa politica che tiene a battesimo oggi. “Campo progressista vuole riunire il centrosinistra ed è un soggetto plurale a disposizione di tutti coloro che credono in un centrosinistra aperto, largo”.’Campo progressista’ vuole essere un progetto aperto “al civismo – dice Pisapia – all’ambientalismo, a chi crede nel dialogo interculturale e religioso. Ma soprattutto a chi vuole passare dalle parole ai fatti”. Pisapia sottolinea come esistano già “decine di migliaia di esperienze amministrative e realtà locali a cui vogliamo offrire una casa per lavorare insieme”.
LINGOTTO – LA PRIMA GIORNATA
Renzi, da segretario-premier detterò agenda contro paura
“Insieme” da Lingotto contro tecnici e populisti. Orlando attacca
“Il futuro non va più di moda ma è la nostra sfida, la paura è l’arma elettorale degli altri”. Torna alle origini, Matteo Renzi. Le origini del Pd, con il Lingotto di Veltroni che rivendica da “erede”, non “reduce”. E le proprie origini, con “l’ambizione di rappresentare una svolta e tornare all’egemonia, non in senso gramsciano, ma nel dettare l’agenda di un’Italia che non si rassegna al catastrofismo”. Parole, queste, di un candidato alla segreteria Pd che rivendica la scelta di essere anche candidato premier. Con una novità, annunciata dopo la sconfitta al referendum: “Io ci sono, con le mie ferite. Ma prima di me – dice annunciando più collegialità e dibattito delle idee – ci siete voi”. Uno dei due sfidanti, Andrea Orlando, critica però con durezza la linea renziana: “Usciamo dalla sindrome dell’autosufficienza. Io guardo a quelli che hanno costruito il Pd e poi sono rimasti per strada”.
La folla che riempie il padiglione del Lingotto, con tanto verde a far da sfondo e le sale per i workshop tematici a contornare il palco, è la risposta – sottolineano i renziani – a chi vedeva Renzi già azzoppato dal caso Consip. Lui, che in un’intervista afferma di avere contro “un intreccio di poteri”, dal palco non fa alcun riferimento alle inchieste, tuona contro chi fa “battaglie rancorose contro qualcuno e non per qualcosa”. Ma aggiunge che non attaccherà mai i suoi rivali Emiliano e Orlando. Parte dalla parola “insieme” e termina con due parole, “identità” e “patriottismo” che rivendica alla sinistra. In mezzo, un discorso che guarda al governo del Paese, a partire dalla sfida con chi cavalca la “paura”. “Chi spara contro questa comunità non fa male solo ai militanti ma indebolisce l’argine del sistema democratico del paese”, attacca. E lancia stoccate anche a chi è uscito dal Pd, bocciando la sinistra “che si divide”, le logiche da “corrente”, il “ping pong” delle polemiche. Cita a più riprese Walter Veltroni e riprende temi del suo Lingotto come Olof Palme e la necessità di combattere “la povertà, non la ricchezza”.
E afferma, smentendo lo stesso titolo della kermesse (‘Tornare a casa per ripartire insieme’): “Non siamo qui per ripartire, perché non ci siamo mai fermati ma per discutere, dialogare, dividerci se serve”, afferma con quello che pare un riferimento anche alle critiche di Sergio Chiamparino, che al Lingotto viene da sostenitore “critico”. L’ex premier ribadisce che è “convintamente al fianco” di Gentiloni e rilancia la battaglia in Europa, a partire dalla proposta di primarie per la scelta del candidato Pse alla presidenza della Commissione. Rivendica la vicinanza al francese Emmanuel Macron e attacca “populisti e tecnici”: “Per anni una parte delle elite dell’Italia ha considerato l’Europa lo strumento per convincere gli italiani riluttanti a fare riforme che altrimenti non avrebbero voluto fare, premier tecnici animati da sentimento antipatriottico e antitaliano”. Al centro pone un tema come il lavoro e annuncia la nascita di una scuola di politica (“Frattocchie 2.0”) e una piattaforma on-line di partecipazione che si chiamerà “Bob”, come Kennedy. Quanto al partito, dice che il Pd è “l’argine del sistema democratico del Paese” e che se ci sono “abusi” sulle tessere a fronte di 420 mila iscritti è fisiologico. Ed è normale che non abbia gli stessi problemi M5s che a Monza elegge il candidato sindaco con 20 voti. Propone una ricetta diversa rispetto al partito leggero o al partito pesante, che è una partecipazione attraverso diverse forme. E afferma che c’è spazio per parlare anche ai Millenials. Parla di piattaforma congressuale, Renzi, ma guarda al governo del Paese.
L’opposto di quel che fa Andrea Orlando, che propone la separazione dei ruoli di segretario e premier. Orlando sottolinea che il Lingotto è patrimonio “di tutto” il Pd e non solo della mozione renziana. E rivendica di essere in giro nelle piccole città e periferie del Paese, da chi sente la politica “lontana dalle grandi convention”. Da fuori, attacca Renzi anche un “ex” come Pier Luigi Bersani: “Pretendere di riassumere il centrosinistra in un partito e il partito in un capo significa andare contro un muro”.
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