Pompei. Due grandi mostre (una centrata sull’eros) illustrano le radici culturali della città
Com’era greca la latina Pompei. Sulla «grecità» dell’italicissima città alle falde del Vesuvio si concentra una delle due grandi mostre archeologiche del 2017, presentate ieri dal soprintendente Massimo Osanna e dal direttore del Museo Archeologico Paolo Giulierini, all’interno di un programma congiunto e a lungo termine. Con uno straordinario presagio di forza e bellezza come […]
Com’era greca la latina Pompei. Sulla «grecità» dell’italicissima città alle falde del Vesuvio si concentra una delle due grandi mostre archeologiche del 2017, presentate ieri dal soprintendente Massimo Osanna e dal direttore del Museo Archeologico Paolo Giulierini, all’interno di un programma congiunto e a lungo termine. Con uno straordinario presagio di forza e bellezza come set, la sala del Toro Farnese. Le mostre, collegate tra loro, fanno parte di un progetto espositivo esteso che in varie tappe mette a fuoco le relazioni di Pompei con le grandi civiltà del Mediterraneo. Così, dopo il primo atto Egitto Pompei e Egitto Napoli. Dall’Oriente (2016) il 12 aprile, nella Palestra Grande degli Scavi, arriva Pompei e i greci (fino al 27 novembre). L’altra esposizione, all’Archeologico dal 7 giugno al 16 ottobre, sarà dedicata agli Amori Divini. Procediamo per cronologia d’apertura. Pompei e i greci è curata da Carlo Rescigno dell’Università degli Studi Luigi Vanvitelli e dallo stesso Osanna che ha ricordato anche i dati in crescita: «Nel 2016 i biglietti staccati sono stati 3.283.740 e nei primi mesi del 2017 il trend si conferma in rialzo, cosicché possiamo sperare di raggiungere nell’anno in corso i 4 milioni di visitatori. La collaborazione col Mann è proficua anche perché ricongiunge quello che un tempo era unito. La nostra risposta a questa forte domanda è diversificare le offerte, sempre con grande attenzione alla divulgazione. Pompei e i Greci nasce in quest’ottica, ma anche dalla considerazione di un dato d’attualità, i flussi migratori contemporanei che con la loro urgenza impongono una riflessione su quelle stesse dinamiche nel Mediterraneo antico, definito luogo della connectivity. L’allestimento è curato dall’architetto svizzero Bernard Tschumi che ha già progettato lo splendido Museo dell’Acropoli di Atene». Con tre installazioni audiovisive immersive (firmate dallo studio canadese GeM), la mostra esporrà seicento reperti provenienti dai ricchissimi depositi di Pompei: ceramiche, ornamenti, armi e sculture da Stabiae, Ercolano, Sorrento, Cuma, Capua, Poseidonia, Metaponto, Torre di Satriano e pezzi dai musei nazionali e stranieri. Con due piccole «star», gli Elmi di Ierone in prestito dal British Museum e da Olimpia come anticipa Rescigno: «Alla celeberrima battaglia di Cuma che, vinta nel 474 a.C. da Ierone I di Siracusa, arrestò l’espansione etrusca nell’Italia ellenica, è dedicata una delle tredici sezioni tematiche. Abbiamo chiesto e ottenuto i due elmi proprio perché simbolici di uno scontro navale che cambiò il corso della storia di Pompei. Le altre sono dedicate, ad esempio, al sapere artigiano nell’età arcaica e alle lingue parlate, con particolare riferimento al greco del quale abbiamo trovato anche abbecedari per bambini. Il greco era usato un po’ come il francese nella nostra epoca, ma era soprattutto la lingua dell’amore e dell’eros. La “grazia” a Pompei si diceva karis, ma erano tanti e assai più licenziosi i termini in uso». E all’amore è dedicata la mostra dell’Archeologico «con particolare riferimento ai miti di seduzione e trasformazione: Danae, Leda, Dafne, Narciso e l’Ermafrodito. Sarà accompagnata da una serie di incontri sul riflesso antropologico del tema anche nella contemporaneità» ha detto Giulierini. Il direttore ha pure annunciato «una grande mostra nel 2018, in collaborazione con Hermitage, in prosecuzione di Pompei e l’Europa». Cinque sezioni, ottanta opere, Amori divini è a cura di Anna Anguissola e Carmela Capaldi, con Luigi Gallo e Valeria Sampaolo. «È la narrazione delle “relazioni pericolose” nel mito greco, a partire da Ovidio e raccontate da affreschi, vasellame, sculture in marmo e in bronzo, ma anche gioielli e gemme. Di ogni “relazione” viene proposta una rilettura moderna dal Rinascimento al Settecento. Del ‘500 sono alcuni bronzetti provenienti dal Bargello. Siamo in trattava con molti musei stranieri, dall’Hermitage al Louvre, per ottenere prestiti di opere mai viste a Napoli. Vedremo». Tra questi, anticipa Sampaolo «potrebbe esserci il famoso Cratere dei Niobidi (calice ritrovato a Orvieto e conservato al Louvre) ed altri vasi e reperti “di ritorno” come dal Getty». Le riletture sei-settecentesche dei miti d’amore sono state selezionate da Gallo che ne indica alcune: «Una coppia di Pierre-Henri de Valenciennes, La morte di Narciso e La morte di Biblis, Narciso al fonte di Charles Mellin da Palazzo Barberini, un Ratto di Ganimede dagli Uffizi e un gesso Ganimede e l’aquila dall’Accademia di San Luca di Roma». Le mostre – con l’organizzazione di Electa – sono propedeutiche all’apertura di una (indispensabile) sezione Magno-greca. (Corriere del Mezzogiorno)