Università di Salerno. Incarichi e consulenze. La Corte dei conti fissa i paletti per i docenti a tempo pieno dell’Ateneo
Salerno. Per i professori universitari a tempo pieno è confermato il divieto assoluto di effettuare attività libero-professionale, se svolta con continuità; e la necessità di richiedere l’autorizzazione all’Ateneo di appartenenza se svolta, invece, occasionalmente. I giudici della Corte dei conti della prima sezione centrale d’Appello (presidente Enzo Rotolo; relatore Elena Tomassini) hanno risolto così uno […]
Salerno. Per i professori universitari a tempo pieno è confermato il divieto assoluto di effettuare attività libero-professionale, se svolta con continuità; e la necessità di richiedere l’autorizzazione all’Ateneo di appartenenza se svolta, invece, occasionalmente. I giudici della Corte dei conti della prima sezione centrale d’Appello (presidente Enzo Rotolo; relatore Elena Tomassini) hanno risolto così uno degli equivoci sorti nel mondo accademico in materia, appunto, di prestazioni professionali e/o consulenze dei docenti a tempo pieno. E lo hanno fatto nel motivare una sentenza di condanna di un professore della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Salerno incappato nelle maglie della giustizia contabile proprio a causa della sua attività professionale espletata fuori dall’Ateneo. E questo perché – scrivono i giudici – dalla natura degli incarichi ottenuti dal docente «si evince chiaramente che non si trattava di consulenza in materia scientifica, ma di fornire risoluzione a problematiche concrete e, quindi, di espletamento di attività libero-professionale». La sentenza e l’appello. La sentenza al risarcimento del danno provocato all’Università di Salerno fu depositata il 10 febbraio dello scorso anno. I giudici condannarono il docente a pagare 64.000 euro proprio per una serie di incarichi professionali che l’ingegnere aveva espletato sebbene fosse dipendente a tempo pieno dell’Università. La vicenda era stata segnalata alla Corte dalla Finanza nel luglio 2014: le “fiamme gialle” avevano infatti rilevato una serie di irregolarità emerse durante le indagini svolte sui docenti a tempo pieno dell’Ateneo Salernitano. I giudici, al termine dell’istruttoria, contestarono al professore una serie di presunti danni erariali che portarono alla fine ad una condanna, subito appellata dai difensori dell’ingegnere. I motivi del ricorso. Tra i numerosi motivi d’appello proposti dai legali del docente, uno in particolare aggrediva la normativa in materia di prestazioni libero-professionali di docenti universitari a tempo pieno. Ai sensi della legge in materia, poi modificata dalla cosiddetta “legge Gelmini” «i professori potevano svolgere liberamente, tra le altre, attività di collaborazione scientifica e di consulenza, come interpretato da tutte le altre università italiane, tra cui quella di Napoli “Federico II” e di Verona. In tale contesto, dunque, le attività svolte erano assolutamente legittime, essendo qualificabili come consulenze, al contrario di quanto ritenuto dalla Corte territoriale nella sua restrittiva ed errata interpretazione», riassumono i giudici. A sostegno di questa tesi i legali hanno richiamato anche una nota del Rettore dell’Università di Salerno, in risposta alla Procura regionale campana, «che sottolineava la possibilità di svolgimento libero di “qualsiasi attività di consulenza”, senza alcuna autorizzazione dell’ente di appartenenza». E questo perché «l’esperienza professionale concreta, in talune materie, era fonte insostituibile di arricchimento per le attività didattiche». Dunque, dei quattro incarichi svolti dal professore di Ingegneria «nessuno aveva arrecato danno erariale, tenuto conto della riconosciuta contemporanea attività di docenza svolta». I motivi della Corte dei conti. Pur volendo prendere in considerazione tutte le argomentazioni della difesa sulla natura degli incarichi (consulenze), per i giudici d’Appello della Corte dei conti il risultato non cambia. I magistrati contabili, infatti, analizzando l’oggetto dei quattro incarichi contestati, «si evince chiaramente che non si trattava di consulenza in materia scientifica, ma di fornire risoluzione a problematiche concrete e, quindi, di espletamento di attività libero professionale. E, in ogni caso, come affermato da giurisprudenza anche recente (Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per l’Emilia Romagna, n. 37 del 2015, che ha esaminato funditus la questione delle autorizzazioni dopo l’entrata in vigore della legge “Gelmini”), deve ritenersi che l’art. 6, comma 10, per i docenti a tempo pieno, vada letto unitamente al successivo comma 12, dedicato ai professori a tempo definito, per i quali, invece, l’unico limite per lo svolgimento delle attività libero-professionali è costituito dall’assenza di conflitto di interesse con l’ateneo di appartenenza». Da ciò i giudici contabili desumono che «per i professori a tempo pieno rimane il divieto di espletamento di attività libero professionale in assoluto, se svolta con continuità, e la necessità di previa autorizzazione dell’ Ateneo di appartenenza se svolta occasionalmente». L’attività di consulenza, dunque, «non va intesa come qualcosa di diverso dalla collaborazione scientifica, di cui conserva la stessa natura e caratteristiche e non può in ogni caso coincidere, confondendosi, con l’attività libero-professionale con il privato o con il pubblico». Tale attività «non è possibile in quanto «l’esercizio di attività libero-professionale è incompatibile con il regime di tempo pieno». Diversamente, osservano, «l’attività di consulenza, intesa come consulenza scientifica, diventa possibile anche per i professori a tempo pieno, così come espressamente previsto per tutte le altre attività compatibili citate nel comma 10. Diversamente opinando, infatti, il divieto sarebbe facilmente aggirabile, per i professori a tempo pieno, indicando come mere consulenze incarichi che, invece, hanno natura libero professionale». «Non è inutile ricordare – aggiungono i magistrati – che i nominativi dei professori a tempo pieno vengono comunicati all’Ordine professionale al cui albo i professori risultano iscritti al fine della loro inclusione in un elenco speciale». Come dire, i limiti e le prescrizioni, in questi casi, sono ben noti. Alla fine i giudici hanno confermato la condanna del docente e, escludendo alcune delle contestazioni, hanno fissato il risarcimento in 38.000 euro. (La Città di Salerno)