Vestiva i bimbi della Napoli bene. Boutique Sciuscià in bancarotta. La Finanza sequestra beni per oltre un milione
Napoli. A Chiaia era un «must»: comprare capi d’abbigliamento per bambini di importanti griffes in un negozio con un marchio che in città esisteva dal 1976. Quando lo scorso anno la sede di «Sciuscià» in via Vittorio Colonna aveva chiuso per fallimento, sulla pagina Facebook si scatenò il «panico» tra i clienti. «Ma davvero non […]
Napoli. A Chiaia era un «must»: comprare capi d’abbigliamento per bambini di importanti griffes in un negozio con un marchio che in città esisteva dal 1976. Quando lo scorso anno la sede di «Sciuscià» in via Vittorio Colonna aveva chiuso per fallimento, sulla pagina Facebook si scatenò il «panico» tra i clienti. «Ma davvero non riaprirete più?», scrivevano in tanti. «Avete un’altra sede dove possiamo venire a spendere?», si chiedevano «smarriti». Ma in realtà i titolari del negozio avevano trovato l’escamotage che per la Procura invece è un reato: precisamente la violazione dell’articolo 223 comma 1 della legge fallimentare. In poche parole un concorso in bancarotta fraudolenta. Per questo motivo ieri mattina i finanzieri del Nucleo di polizia Tributaria di Napoli (coordinati dal colonnello Giovanni Salerno) hanno dato esecuzione ad un provvedimento di sequestro di un milione e duecento mila euro emesso dal gip di Napoli su richiesta della Terza sezione della Procura, il pool di sostituti che si occupano di criminalità economica diretti da Fausto Zuccarelli. Ebbene, i militari con un’attenta analisi dei flussi finanziari e dei conti correnti dei titolari, sono riusciti a risalire al «giro» di proprietà che ha permesso per oltre un anno di occultare beni che dovevano invece ricadere nel fallimento. Due milioni di euro di passivo: soldi che sarebbero dovuti finire innanzitutto ai dipendenti. Alle banche che avevano anticipato soldi per l’acquisto di merce. Ai fornitori che riempivano gli espositori del negozio di lusso per bambini, sicuri di aver a che fare con commercianti di lungo corso. Ma qualcosa non è andato per il verso giusto tant’è che nel giro di pochi mesi i conti sono andati in rosso e i creditori hanno iniziato a bussare. Così Domenico Provenzano, titolare del marchio, ha intestato alla moglie Anna De Martino e ad una fidata dipendente, Immacolata Lanza, tre società che ha riempito dei beni, svuotando i conti della vecchia azienda. Ma non solo i conti correnti, anche i depositi con la merce che era stata stoccata nel corso dei mesi precedenti. Le investigazioni del Nucleo di Polizia Tributaria sono riuscite ad individuare il sistema escogitato da quello che la Procura di Napoli, considera la «mente» della bancarotta: Ciro Provenzano. Nel giro di nu anno della «Sciuscià srl» non c’era più traccia. Di questa azienda le quote erano state cedute prima in favore della «Macm Love srl», poi della «Gallery srl», ed, infine della «Gold srl». La prima e l’ultima di tali società sono riconducibili alla moglie di Provenzano, ovvero Anna De Martino, mentre la seconda alla sua ex dipendente, Immacolata Lanza. Si tratta di nuove società «artatamente costituite in sequenza, con il solo scopo di spostare i beni del patrimonio della società fallita», scrive il gip. Ed infatti, così facendo, sarebbero stati sottratti fraudolentemente garanzie ai creditori in quanto i magazzini con l’abbigliamento da vendere sul mercato erano stati svuotati: avevano un valore di oltre un milione e duecentomila euro a fronte dei due milioni di euro di debiti accumulati. Provenzano, De Martino e Lanza sono indagati per concorso in bancarotta fraudolenta mentre i beni delle società sono sotto sequestro. (Corriere del Mezzogiorno)