Il blogger Gabriele Del Grande racconta la sua detenzione: «Non sono un eroe ma solo un giornalista»

26 aprile 2017 | 17:57
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Il blogger Gabriele Del Grande racconta la sua detenzione: «Non sono un eroe ma solo un giornalista»

«Non chiamatemi eroe, ho solo fatto il mio lavoro. In Turchia ci sono ancora 154 giornalisti in carcere. Io ero solo il numero 155. Il mio pensiero oggi va a loro». Capelli ricci arruffati, camicia blu, jeans, Gabriele Del Grande il trentacinquenne documentarista e giornalista toscano arrestato il 9 aprile scorso mentre si trovava a […]

«Non chiamatemi eroe, ho solo fatto il mio lavoro. In Turchia ci sono ancora 154 giornalisti in carcere. Io ero solo il numero 155. Il mio pensiero oggi va a loro». Capelli ricci arruffati, camicia blu, jeans, Gabriele Del Grande il trentacinquenne documentarista e giornalista toscano arrestato il 9 aprile scorso mentre si trovava a venti chilometri dal confine con la Siria, ieri ha ripercorso davanti alla stampa internazionale i suoi 14 giorni di prigionia. I momenti dell’arresto, l’sms mandato clandestinamente alla moglie, il trasferimento in una cella di isolamento, la paura che di lui si potessero perdere le tracce. Infine lo sciopero della fame e la liberazione. Accanto a lui, nella sede della stampa estera a Roma, il senatore Luigi Manconi, presidente della commissione per i diritti umani, la moglie Alexandra D’Onofrio e il suo avvocato Alessandra Ballerini, lo stesso della famiglia di Giulio Regeni, il giovane friulano scomparso e ucciso in Egitto. Una vicenda ancora da chiarire quella che ha coinvolto il fondatore del blog “Fortress Europe”. Rimangono da capire i motivi che hanno portato al suo arresto e del perché, come ha spiegato il senatore Manconi, «il governo italiano sia stato lasciato all’oscuro per ben cinque giorni». Uno scenario che avrebbe potuto far pensare a un nuovo caso Regeni. «L’angoscia c’era – ha confermato l’avvocato – ma i due casi sono diversi: Gabriele ha potuto dire dov’era». È stato Del Grande a ripercorrere il momento del suo arresto. «Ero in un ristorante a Rihanli, a venti chilometri dal confine con la Siria, con una persona che posso definire una “mia fonte” e per questo non ne rivelerò l’identità – ha raccontato il blogger – quando sono entrati otto agenti in borghese e ci hanno chiesto di seguirli. Caricati su due macchine diverse ci hanno portato in una stazione di polizia dove sono iniziati gli interrogatori durati fino a mezzanotte. Poi, senza spiegarci il perché, ci siamo ritrovati in un centro di identificazione. Della persona che era con me non ho più avuto notizie». Durante gli interrogatori «durante i quali non mi è mai stato torto un capello» a Gabriele Del Grande vengono chiesti chiarimenti sul suo lavoro. «Quando hanno capito che ero un giornalista e mi hanno chiesto il contenuto di quello che stavo facendo, gli ho risposto che non avrei parlato del mio lavoro in un centro di identificazione e senza l’avvocato. Poi mi hanno costretto a firmare verbali scritti in turco». La paura arriva quando dal primo centro «con le porte aperte» viene trasferito in isolamento in un luogo sconosciuto: «allora ho iniziato lo sciopero della fame». Gabriele si definisce una «figura ibrida, a metà strada tra il giornalista e il ricercatore, «per questo motivo non ho chiesto l’accredito stampa» ma tiene a precisare «non sono un avventuriero». L’intenzione è di tornare presto in Turchia. «Ai poliziotti che mi accompagnavano in aeroporto ho detto vado via, ma non vedo l’ora di ritornare». (La Città di Salerno)