I 25 anni della strage di Capaci. Mattarella: «Denunciate. Istituzioni e amministratori contrastino collusioni o infiltrazioni»
La Croma corazzata di scorta che la mafia fece saltare in aria con quella di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo è tornata nel giardino d’ulivi dove venticinque anni fa Cosa nostra con 500 chili di tritolo si illuse di potersi prendere lo Stato. Sembra solo un rottame ferroso la «Quarto Savona 15», in sigla «QS15», […]
La Croma corazzata di scorta che la mafia fece saltare in aria con quella di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo è tornata nel giardino d’ulivi dove venticinque anni fa Cosa nostra con 500 chili di tritolo si illuse di potersi prendere lo Stato. Sembra solo un rottame ferroso la «Quarto Savona 15», in sigla «QS15», ma questo cimelio di groviglio custodito in una teca diventerà un altro simbolo del riscatto. Con piedistallo piazzato sotto l’autostrada della vergogna, a Capaci. Una sorta di altare civile scoperto ieri proprio dai figli e dalle mogli dei poliziotti dilaniati in quell’inferno. E la diretta Rai, ieri mattina collegata in staffetta con l’aula bunker, in serata con Fabio Fazio da via D’Amelio, ha offerto la commovente immagine di Gaetano Montinaro, uno dei due figli del caposcorta, e di Emanuele Schifani, il figlio di Vito, in divisa da tenente della Guardia di Finanza, pronti a tirare giù il tricolore che celava i resti della Croma. Con l’aiuto delle mamme, Tina Montinaro e Rosaria Schifani, che allora tenevano in braccio i pargoli. Commozione alle stelle nell’anniversario numero 25 trasformato in una festa da migliaia di ragazzi arrivati con ogni mezzo nella Palermo che celebra Falcone, Borsellino, Morvillo e gli agenti caduti. Con lenzuola stese, canti, palloncini colorati, senza retorica. Come si riesce a fare con la Fondazione Falcone dalla nave della legalità, approdata con mille studenti, alle piazze invase dai ragazzi. Come succede nell’aula bunker dove arriva il presidente Sergio Mattarella per indicare Falcone e Borsellino non come due eroi, ma come due persone normali alle quali ispirarsi tutti i giorni. Davanti a una platea dove non mancano il presidente del Senato Pietro Grasso, il ministro dell’Interno Marco Minniti, il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, la presidente dell’Antimafia Rosy Bindi, il generale dei carabinieri Tullio Del Sette e tanti altri, Mattarella sembra rilanciare lo stesso messaggio anche agli amministratori pubblici in una regione dove non si fermano le inchieste sulla corruzione. Invoca così «istituzioni politiche e amministrative trasparenti ed efficienti, che rifiutino, contrastino e denuncino ogni collusione o infiltrazione». Gli applausi non mancano, ma nemmeno le polemiche. Perché Grasso e Giuseppe Ayala, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello, altri magistrati e perfino l’ex direttore del Fbi Louis Freeh esaltano la forza del Maxi processo. Nessuno ha però invitato il presidente di quello storico dibattimento, Alfonso Giordano, che a sera lo fa notare con un po’ di amarezza. La stessa provata da Alba Terrasi, la fidanzata di Rocco Dicillo, il terzo agente ucciso in quella Croma, non invitata a tutte le manifestazioni, poi con i poliziotti raccolti dal questore Renato Cortese alla caserma Lungaro e davanti alla questura. Ma nell’aula non erano previsti posti a sedere per Rosaria Schifani e suo figlio, arrivati da Capaci. Né al presidente Mattarella avevano detto che c’erano in sala i figli delle vittime. A cominciare da Giovanni Montinaro, il più piccolo, un braccio tatuato con la sigla «QS15». Poi a migliaia in corteo verso l’Albero Falcone, attraversano la città dei lutti, con le lapidi di Cesare Terranova, Boris Giuliano, Rocco Chinnici e così via. Ma con cortei dove echeggiava la vitalità dei giovani: «Palermo è nostra, non di Cosa nostra». E alle 17.58 il Silenzio, seguito da una vera festa dei ragazzi incoraggiati da Mattarella: «Le idee di Falcone camminano sulle vostre gambe». (Corriere della Sera)