I dubbi sulle nuove regole per il gioco d’azzardo. Dai mini casinò di quartiere allo stop nei bar
«Azzardo, un’intesa da ripudiare». Non bastasse il casino che c’era, esce verso sera un durissimo altolà delle associazioni no slot. Caos. Segue contrordine: è un comunicato di ore prima, sulla bozza precedente. La nuova va bene? Sì, no, mai e poi mai, forse… Andiamo con ordine. Dopo anni di conflitti intestini tra lo Stato biscazziere […]
«Azzardo, un’intesa da ripudiare». Non bastasse il casino che c’era, esce verso sera un durissimo altolà delle associazioni no slot. Caos. Segue contrordine: è un comunicato di ore prima, sulla bozza precedente. La nuova va bene? Sì, no, mai e poi mai, forse… Andiamo con ordine. Dopo anni di conflitti intestini tra lo Stato biscazziere affamato di soldi facili ricavati con quella che Cavour chiamava «la tassa sulla stupidità» (e sui più fragili), il ministero della Salute assillato per l’emergenza sanitaria e sociale causata dalle ludopatie, i sindaci in lotta per arginare il dilagare di locali con le macchinette, sono attese da tempo regole più nette. Che affrontino finalmente i problemi prendendoli di petto. Come merita un problema gonfiatosi via via fino a sfondare nel 2016 i 95 miliardi e mezzo di euro giocati. Pari a un ottavo di quanto spendono nel complesso le famiglie italiane. Con una crescita, dice la Treccani, dell’ 8%. Certo, larga parte di quei soldi è stata «restituita» agli italiani sotto forma di vincite. Ma allo Stato e ai biscazzieri ne sono finiti una ventina. Quattro volte l’Imu sulla prima casa. Due volte tutti i salvataggi di Alitalia messi insieme. Col contraccolpo, come dicevamo, di costi sanitari sempre più pesanti. Ed ecco che martedì, dopo tanta attesa, era saltata fuori in Conferenza Unificata Stato-Regioni una bozza di riordino impresentabile. Talmente indigesta con le sue ambiguità e le sue concessioni agli affaristi dell’azzardo da sollevare una rivolta, da spingere esperti come Marco Dotti del Movimento No Slot a scrivere su vita.it di una misteriosa manina (lobbistica) che «mette mano a questi documenti invece dei decisori politici» e da costringere infine il sottosegretario all’Economia Gian Paolo Baretta a precipitarsi a smentire tutto («non è quella la bozza buona») e a promettere la versione giusta per ieri mattina. Versione arrivata tra mille dubbi e agguerrite diffidenze. Le polemiche. E la bozza, infine, è arrivata. Accolta stavolta da una selva di opinioni diverse. Se non opposte. Di qua le critiche di Beppe Grillo (che accusa «lo Stato biscazziere » di «comportamento incomprensibile corredato da tantissime foglie di fico») e dei parlamentari grillini più attenti al tema, Giovanni Endrizzi e Matteo Mantero. I quali stroncano l’idea dei «mini casinò di quartiere», contestano l’ipotesi di una distanza minima di 150 metri (sono 500 a Roma e altri comuni) dei punti-slot dalle scuole e diffidano sindaci e governatori dal firmare l’accordo. Di là le aperture di qualche sindaco combattivo come il bergamasco Giorgio Gori che, dopo mesi di guerre frontali, dice che «ci sono ancora cose che non vanno ma questa bozza fa comunque dei passi avanti. Fatta una simulazione, con quei 150 metri di distanza dai luoghi sensibili copriamo quasi tutta Bergamo. E l’obbligo della tessera sanitaria per giocare con le nuove macchinette è fondamentale. Come la svolta dello Stato che non vede più l’azzardo solo come occasione per fare cassa». «Il governo si conferma poco coraggioso e soprattutto poco chiaro e contraddittorio», insiste l’assessore lombarda Viviana Beccalossi, «come puoi prevedere una drastica diminuzione di slot pari al 30% e un contemporaneo aumento del gettito fiscale proveniente dal gioco, come previsto dalla Finanziaria, in circa 500 milioni di euro?». Più di così non si poteva fare, risponde Baretta in una intervista a Toni Mira di Avvenire. Soprattutto sulle distanze: «I due punti sensibili che abbiamo scelto, scuole e luoghi di culto, sono i più diffusi. Quindi 150 metri garantiscono ai Comuni la possibilità di una gestione del territorio evitando che le sale spariscano del tutto. Una “desertificazione” aprirebbe la strada a una presenza illegale e clandestina». Di più: in situazioni particolarmente difficili i sindaci potranno fare norme più severe. Meno slot machine. Sì, le cose positive (sempre che nuove «manine» non intervengano con scellerati ritocchi) non mancano. Come appunto il riconoscimento (era ora…) che la diffusione del gioco legale, «con l’obiettivo, di porre, giustamente argine alla diffusione incontrollata del gioco illegale ha però provocato una nuova emergenza sociale». Ma soprattutto alcune regole nuove che i nemici dell’azzardo invocavano da tempo. Come l’impegno a ridurre (succederà, stavolta?) entro il 2017 le macchinette da 407.323 a 264.674. E una netta riduzione in parallelo dei punti gioco. Con la sparizione delle slot, entro tre anni, se non cambiano, nei pubblici esercizi (bar) e nelle tabaccherie. Certo, restano perplessità su 18.000 «sale e punti gioco con certificazione di tipo “A”» (quelli chiamati comunemente «casinò di quartiere») e «circa 30.000 esercizi che saranno in grado di ottenere la certificazione di categoria A». Si tratterebbe però, se i programmi fossero davvero rispettati (auguri), di luoghi diversi da oggi. Sottoposti all’«accesso selettivo all’ingresso della sala, la completa identificazione dell’avventore, mediante il controllo con documento d’identità e della tessera sanitaria». E ancora alla videosorveglianza, all’obbligo di formare gli addetti «anche con approccio di contrasto al gioco d’azzardo patologico». Per non dire dell’«obbligo di segnalazione di soggetti patologici ai servizi sociali del Comune» e del «divieto di accesso per persone soggette alla dipendenza del gioco d’azzardo patologico ed inserite in programma di recupero». Sulla carta, bene. Sull’applicazione pratica, vedremo. La pubblicità. Alcune promesse però, come sottolineano Maurizio Fiasco e quanti studiano da anni l’emergenza, sono così lacunose da gettare un’ombra su tutto. Cosa significa l’impegno a una «drastica riduzione degli spazi pubblicitari»? Quanto «drastica», in una società in cui siamo bombardati da ogni genere di spot con l’ipocrita postilla che «il gioco è vietato ai minori e può creare dipendenza patologica»? Qual è il senso di invocare l’«eliminazione di immagini eccessive che inducano al gioco»? E le distanze delle sale di azzardo dai centri anziani, dagli uffici postali, dalle banche, dai mercati, dai «compro oro» che (coincidenza…) sono sempre nei dintorni? Assai curioso, infine, il progetto di «realizzare, in collaborazione con il ministero dell’Interno e gli Enti locali interessati, una revisione dell’attuale disciplina dei Casinò, finalizzata al risanamento del settore e a una razionale distribuzione nel territorio nazionale» per «aiutare la scelta di ridurre la frammentazione della attuale diffusione territoriale del gioco». Cioè? Boh.. Certo è che, sul tema, una sorpresina c’è già stata. Nel testo unico della legge Madia sulle società partecipate, su pressione della Val d’Aosta, come ha denunciato Giovanni Endrizzi, è stato dato ai Casinò un anno di tempo in più per adeguarsi alle nuove norme. Un regalino… (Corriere della Sera)