Napoli. Il direttore del Museo di Capodimonte racconta il recupero di uno dei giardini storici più importanti del mondo
Capodimonte è per Napoli tante cose insieme, è il bosco più esteso della città (134 ettari); il giardino storico tra i più importanti al mondo; secondo gli ecologi del dipartimento di Agraria che hanno lavorato al piano regolatore, è anche l’ecosistema urbano con i più alti livelli di naturalità, anche se la lecceta non è […]
Capodimonte è per Napoli tante cose insieme, è il bosco più esteso della città (134 ettari); il giardino storico tra i più importanti al mondo; secondo gli ecologi del dipartimento di Agraria che hanno lavorato al piano regolatore, è anche l’ecosistema urbano con i più alti livelli di naturalità, anche se la lecceta non è spontanea ma l’hanno piantata gli agronomi del Re nella prima metà del ‘700, che poi è una bella lezione, significa che l’uomo quando vuole può ricostruire la natura, oltre che distruggerla. Capodimonte è indubbiamente il luogo di Napoli che meglio esprime la magnificenza e la regalità, cose che i napoletani in fondo hanno raramente potuto condividere, da sudditi come da cittadini, cogliendone solo clandestinamente i riflessi, come quando da ragazzi si saliva al bosco in autobus dall’Arenella, già in tenuta, e si entrava di nascosto col pallone da una breccia nel muro di cinta, per conquistare il diritto a correre su un prato polveroso attorno alla Fabbrica delle Porcellane. Il 5 di maggio il Museo ha compiuto sessant’anni, ed è l’occasione per parlarne col direttore Sylvain Bellenger, una lunga esperienza di direzione di musei e istituzioni culturali in Francia e negli Stati Uniti, il ministro Franceschini l’ha chiamato quattordici mesi fa dall’Art Institute of Chicago. Bellenger svolge la sua attività in uno studio nel Palazzotto, subito accanto a Porta Grande, dove ha concentrato tutti gli uffici. «In questo modo è più facile lavorare, il parco ha 202 dipendenti, l’età media è di sessant’anni, come il Museo. Quando sono arrivato non c’era una sala riunioni, i computer roba da modernariato, con pochi dipendenti in grado di usarli. Il Museo non aveva un logo, una carta intestata, un biglietto da visita. La scelta decisiva fatta dal ministro è stata senza dubbio quella di riunificare finalmente il Museo e il Bosco sotto un’unica direzione generale, prima il Museo dipendeva dai beni artistici, il Bosco da quelli ambientali, era impossibile immaginare un progetto unico di gestione, nell’incomunicabilità degli uffici tutto si impantanava in un tran tran burocratico senza futuro». In effetti, che l’aria è cambiata te ne accorgi da subito; all’ingresso di Porta Piccola c’è ora un’enorme striscione a disegni colorati che indica ai ragazzi la localizzazione dei campi di calcio, Bellenger ne ha realizzati due, proprio accanto alla Fabbrica di Ceramiche. «Il parco ha tante funzioni, ma una delle più importanti è di migliorare la vita delle persone del quartiere. A Parigi ci sono 34 piscine pubbliche, il costo è di un euro al giorno. Al Centro Pompidou sono disponibili cinquecento computer per l’uso libero dei giovani e dei visitatori, dalla mattina alle dieci e trenta di sera. Il nostro compito è anche quello di offrire agli abitanti di questa città i servizi essenziali dei quali hanno bisogno, a partire dai giovani, che in Italia sono troppo spesso sacrificati e maltrattati. Quando ho accompagnato il primo gruppo di ragazzi ai nuovi campi erano stupiti, prima mi hanno domandato se dovevano pagare, quando gli ho risposto che era gratis mi hanno chiesto perché lo facevo». Naturalmente, destinato al calcio un suo spazio legittimo, i prati nel bosco hanno ripreso colore e bellezza, c’è finalmente un senso complessivo di cura e di manutenzione. «La Pinacoteca di Capodimonte – dice ancora Bellenger – è probabilmente la più completa d’Italia, nel senso che è l’unica che consente un viaggio significativo nelle diverse epoche e scuole, italiane ed europee, fino all’arte contemporanea. Sono particolarmente orgoglioso del fatto che sia custodito proprio qui a Capodimonte uno dei quadri universalmente celebri, a cui sono più legato, la “Parabola dei ciechi” di Bruegel, ogni ragazzo francese lo conosce, perché è immancabilmente riprodotto sui libri di scuola, accanto alla poesia “Les Aveugles”, I ciechi, di Baudelaire”». Oltre ai prati, anche il Museo rinasce e si rianima: a Pasqua 2017, rispetto all’anno precedente, i visitatori sono aumentati del 120%, gli incassi raddoppiati, e a molto sono servite le mostre visitatissime dei capolavori ritrovati di Van Gogh, la “Donna col liuto” di Vermeer, fino all’ultima “Picasso Parade”, visitabile fino al 10 luglio, oltre naturalmente al sito web (più di un milione di visite da quando è online), la presenza sui social, la convenzione con la navetta turistica che conduce qui in collina i turisti dal centro della città. Ma Bellenger insiste sul legame tra la Reggia e il Bosco, che per lui è un museo vivente a cielo aperto, con la presenza di 400 diverse specie vegetali, e la collezione di alberi esotici provenienti, a gloria del sovrano, dalle diverse terre dell’Impero dove non tramontava il sole: il cipresso calvo di Montezuma, alla cui ombra si materializzavano le tremende divinità atzeche, o gli splendidi Cinnamomun, l’albero della canfora, ce n’è uno gigantesco che ha tre secoli. «È uno dei monumenti più importanti che abbiamo», si compiace Bellenger, secondo il quale «l’insieme del Museo e del Bosco configura uno dei siti storici e naturalistici più importanti d’Europa e del mondo, dove è possibile godere e comprendere insieme le bellezze dell’arte, della terra, della natura». Una collaboratrice giunge con una copia del masterplan preparato per il ministro, contiene mappe, cartine, progetti, disegni, la visione proiettata nel prossimo ventennio, che Bellenger e il suo gruppo di lavoro hanno immaginato per il sito di Capodimonte. C’è il recupero dei diciassette fabbricati storici presenti nel parco, con una funzione precisa per ciascuno: oltre a spazi per mostre e concerti, il masterplan prevede la creazione di una scuola internazionale di giardinaggio; una fondazione presieduta da Riccardo Muti per la musica classica napoletana, in collaborazione con il Conservatorio di San Pietro a Maiella; un’altra fondazione, affidata a Mimmo Iodice, per l’archivio storico della fotografia a Napoli e in Campania; un centro di studi internazionali sull’identità delle città portuali. Ancora, al Giardino Torre, il ripristino di un arboreto con le varietà antiche di piante da frutto, assieme a un sito di degustazione e ristorazione, proprio dove c’è il forno originale del 1800, in cui fu cotta la pizza per la regina Margherita di Savoia. Quindi gli infopoint, gli spogliatoi e le docce per chi viene a fare footing, spazi dedicati ai cani, e un centro sportivo per gli sport minori, comprese le bocce ed il cricket. «Vorrei che Capodimonte si affermasse, oltre che come museo di rilievo mondiale, quale è già, come il bosco civico della città, un luogo di vita e di cultura, il Central Park di Napoli. Per il Museo, poi, immagino una integrazione profonda con le altre istituzioni culturali, il Mann, il Madre, il Conservatorio. Dobbiamo riunire le energie, per raccontare al mondo questo posto straordinario che sono Napoli e la Campania, uno dei pochi al mondo dove il viaggio dall’antichità greco-romana, al medioevo, al moderno, alla contemporaneità sia ancora concretamente possibile, con una continuità ininterrotta che non esiste altrove». Nel frattempo, il direttore racconta di come con il nuovo flusso di turisti che salgono al museo e al bosco, l’intero quartiere si stia rivitalizzando, se vuoi mangiare nelle osterie intorno al parco ora devi prenotare, altrimenti non trovi posto. Alla fine del viaggio, il bosco civico di Bellenger può diventare in prospettiva il luogo della città dove la storia, l’arte e la natura si raccontano insieme; e dove la magnificenza e la regalità si ricongiungono finalmente, al servizio di un’idea moderna di cittadinanza. Ortega y Gasset sosteneva che lo Stato è innanzitutto un progetto condiviso di futuro, e qui un progetto pubblico, al servizio di cittadini e abitanti, c’è e si vede. In questi giorni il direttore non ha fatto mistero di aver votato alle presidenziali francesi per Emmanuel Macron, e ha già invitato pubblicamente il nuovo presidente a visitare il museo e il parco: potrà sembrare una cosa fuori luogo, ma in questa storia nuova di Capodimonte, alla fine, anche la politica, quella seria, c’entra, eccome. (la Repubblica)