Rino Gattuso torna al Milan come allenatore della Primavera

25 maggio 2017 | 17:06
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Rino Gattuso torna al Milan come allenatore della Primavera

Rino Gattuso torna a casa. Ieri a cena ha ricevuto la proposta di Marco Fassone di rientrare al Milan con il compito di guidare la Primavera, in precedenza affidata a Stefano Nava. Sarà il punto di riferimento dei tecnici delle giovanili nel settore guidato da Filippo Galli: nei prossimi giorni la firma del contratto. Non […]

Rino Gattuso torna a casa. Ieri a cena ha ricevuto la proposta di Marco Fassone di rientrare al Milan con il compito di guidare la Primavera, in precedenza affidata a Stefano Nava. Sarà il punto di riferimento dei tecnici delle giovanili nel settore guidato da Filippo Galli: nei prossimi giorni la firma del contratto. Non male per chi ha vissuto tre anni sul filo del rasoio. «Fra l’Ofi Creta e il Pisa ho vissuto stagioni complicatissime. Anche per rispetto dei miei bambini e della mia famiglia ora vorrei un’esperienza in cui possa solo pensare al campo. Di offerte ne ho tante ma bisogna capire dove si va e cosa si vuole», raccontava nei giorni scorsi Gattuso. È reduce da un’esperienza turbolenta con il Pisa, una retrocessione in Lega Pro e un addio già annunciato al club toscano. «Sono stati due anni di lavoro intenso: nel campionato scorso è stato compiuto un piccolo miracolo sportivo. In questa stagione ho lavorato in condizioni assurde ma devo ringraziare la città e i tifosi che ci sono stati vicini». Lei a Pisa, come il Milan, ha vissuto una tormentata cessione societaria: che idea s’è fatto?. «I risultati vanno di pari passo con la presenza di una società forte alle spalle». L’hanno stupita i festeggiamenti rossoneri per la conquista del sesto posto? «Be’ dopo tre anni l’Europa è un risultato importante: il Milan torna a casa. Non era scontato che avvenisse. È stato compiuto un buon lavoro, ha vinto anche la Supercoppa Italiana». La nuova proprietà mira a investimenti e acquisti di livello. Basta spendere per diventare competitivi? «La gestione di Berlusconi ha dimostrato che oltre ai soldi contano la storia, il senso di appartenenza, i valori da tramandare». Maldini sarebbe stato la persona giusta? «Mi dispiace che non ci sia per il rispetto che ho per lui. Paolo è il Milan, ma non conoscendo le dinamiche non giudico». L’Inter è la prova vivente che le risorse non garantiscono successi. Quanto influisce la lontananza della proprietà? «I nerazzurri stanno vivendo quella fase di transizione che è già capitata allo United, al Chelsea o al Liverpool. La verità è che rinnovare si paga. I successi, è stato per il nostro Milan o per la Juve attuale, si costruiscono con lo stesso blocco di 8-9 giocatori che stanno tanto tempo insieme. Cambiare ogni anno 10-12 giocatori rende arduo il compito del tecnico: fa bene la Juve che inserisce solo 2-3 campionissimi in un tessuto collaudato. Poi che i presidenti siano in un altro continente conta fino a un certo punto perché certi valori li trasmettono i dirigenti che vivono la sede o il centro sportivo». Quanto tempo ci vorrà per colmare il gap dalla Juve? «È l’esempio da seguire, non sembra nemmeno una squadra italiana, ora ha un respiro internazionale. Fa un mercato intelligente e ha lo stadio di proprietà: spero che vinca a Cardiff perché sarebbe fondamentale per il nostro sistema calcio». Si aspettava una tale crescita di Allegri? «Max era già bravo a gestire lo spogliatoio ai tempi del Milan. Non si piange addosso, finge di non vedere e vede tutto e poi ha avuto la grande intuizione tattica del 4-2-3-1». Il suo amico Buffon merita il Pallone d’Oro? «È un premio che lascia il tempo che trova visto che fuoriclasse come Baresi o Maldini non lo hanno mai vinto. Mi auguro che Gigi lo conquisti, ma non come conseguenza di un successo in Champions ma perché in 20 anni ha vinto tanto e di cappellate ne ha fatte poche». C’è un allenatore a cui si ispira? «Ancelotti, Lippi e Conte sono i miei punti di riferimento ma in questo lavoro non si può scopiazzare. Non c’è un modello vincente. Con il tempo sono diventato più riflessivo, dopo tre anni tra Creta e Pisa vissuti borderline: volevo fare un mio percorso senza che nessuno mi regalasse niente. A casa sui libri si impara poco, si cresce prendendo legnate in panchina sui denti». È stato più complesso il rapporto con Berlusconi o con Zamparini? «Si è dimenticata Constantin, il presidente del Sion. Guardi, Berlusconi era ingombrante come figura ma non invadente. Zamparini conosce di calcio ma quando perdi 1-2 partite non ha pazienza e ti caccia subito. Con lui ho discusso per le formazioni: certo, se ti assumi la responsabilità di far giocare uno e poi i risultati non arrivano vai a casa. Constantin si metteva alla lavagna e disegnava gli schieramenti». Ora rientra al Milan: si fatica a immaginare che Yonghong Li dalla Cina suggerisca un terzino. (Corriere della Sera)