Allarme piazze. Il piano di Minniti per i 1.700 eventi estivi: “La psicosi è il nostro nuovo nemico. Dobbiamo evitare di chiudere il Paese”
In un macabro gioco di specchi che riflette le immagini della mattanza islamista a Londra e il panico in piazza san Carlo a Torino, verosimilmente innescato dalla demenza alcoolica di pochi (un gesto, una parola, un oggetto, si vedrà), e che sovrappone il Terrore e la sua semplice proiezione, la notte di sabato 3 giugno […]
In un macabro gioco di specchi che riflette le immagini della mattanza islamista a Londra e il panico in piazza san Carlo a Torino, verosimilmente innescato dalla demenza alcoolica di pochi (un gesto, una parola, un oggetto, si vedrà), e che sovrappone il Terrore e la sua semplice proiezione, la notte di sabato 3 giugno consegna il Paese a una nuova emergenza. Tutta italiana e figlia della paura. Che denuncia la spiccata vulnerabilità psicologica del Paese. E descritta da una sola parola. «Psicosi». Al punto da farla diventare il fulcro, domenica pomeriggio, della riunione di urgenza del Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo (CASA) convocata dal ministro dell’Interno Marco Minniti. «Perché — spiega il ministro a vertice concluso — evitare la psicosi diventa oggi un passaggio decisivo nella strategia di prevenzione. Uno snodo del nuovo sistema di difesa civile». Dove la differenza tra le responsabilità proprie di protezione civile (dei sindaci) e quelle di ordine e sicurezza pubblica (dei prefetti) finiscono con il confluire in una sola cabina di regia. Quella dei Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica, dove prefetti e sindaci siedono insieme, e cui, da oggi, il Viminale chiederà, insieme evidentemente a un raddoppiato sforzo di controllo del territorio in questo Ramadan di sangue, di adeguare nel dettaglio tutte le misure predisposte per rendere possibili, agibili e soprattutto sostenibili i 1.700 eventi estivi all’aperto in calendario nel nostro Paese di qui a settembre. Del resto, la circostanza che la psicosi di Torino abbia fatto più feriti e consegnato a un movimento di piazza inconsulto migliaia di persone rispetto all’attentato alla Manchester Arena, dove una bomba è esplosa per davvero, è un dato che segnala un rischio specifico del nostro Paese e ne mette a nudo la sua intima fragilità. Circostanza da sempre in cima all’agenda delle valutazioni dei nostri apparati di sicurezza, ma, da sabato notte, evidente agli occhi di chiunque. Con lo spettacolo di una piazza impazzita che ci ricorda come in un Paese come il nostro dal forte deficit di cultura della «sicurezza» (in questo caso nell’accezione inglese della parola “safety”, dunque di protezione civile) il rischio è trasformare ogni evento pubblico di grande richiamo in una scommessa al buio. La circostanza che l’attuale capo della Polizia, Franco Gabrielli, sia stato nel tempo capo dell’Intelligence interna e quindi della Protezione civile, è da questo punto di vista la carta su cui il ministro dell’Interno scommette per un «cambio di passo» — così lo definisce — nella cultura complessiva della prevenzione. Da questo punto di vista, nella riunione di ieri del CASA, è stata ricordata e nuovamente richiamata, la circolare di appena una settimana fa con cui, proprio Gabrielli, dopo l’attentato di Manchester, aveva indicato l’urgenza del coinvolgimento non solo dei sindaci, ma anche dei privati nel potenziamento delle misure di sicurezza. Facendo diventare routine quella che sino ad oggi è stata eccezione. E quindi: bonifica delle aree destinate ad ospitare (tutti) gli eventi, quale che sia la loro dimensione o capacità di richiamo; adeguato allestimento delle vie di fuga; definizione di aree di prefiltraggio e filtraggio; impiego di steward in numero e con competenze utili a governare o sedare reazioni improvvise della folla. «Se non vogliamo chiudere il Paese e negargli la libertà di riunirsi in una piazza, in un parco o in uno stadio, quali che siano gli eventi — ragiona ancora il ministro — è evidente che questa è la strada. Ed è evidente che questo comporterà un’assunzione di responsabilità diffusa. Perché solo una somma di competenze, che ha a che fare sia con gli aspetti della sicurezza pubblica che con quelli della configurazione urbanistica dei luoghi, con i dispositivi di assistenza sanitaria, può darci una forma di prevenzione efficiente. Dopodiché, è evidente che se questi standard non saranno rispettati, saremo pronti a vietare singoli eventi. Ma mi auguro che questo non accadrà». I fatti di piazza san Carlo, insomma, al netto del percorso che avrà l’inchiesta giudiziaria, non sembra saranno occasione né per un redde rationem, né per la caccia ad un responsabile da consegnare all’opinione pubblica. E, ancora ieri sera, il clima che si misurava nei rapporti tra ministro, prefetto e sindaco di Torino (la Appendino e Minniti, sabato sera, erano per altro entrambi ospiti della tribuna autorità del Millennium stadium di Cardiff), sembrava di particolare comprensione e distensione. Nonostante un punto resti ancora assai opaco. Vale a dire il mancato divieto di vendita di bevande in bottiglie di vetro, che sono poi diventate il micidiale tappeto acuminato su cui la folla impazzita si è massacrata fuggendo. (la Repubblica)