Mercoledì 7 giugno, nella Chiesa di Santa Apollonia, alle ore 20, ottavo appuntamento del Festival di Musica da Camera del Conservatorio Giuseppe Martucci con il quartetto Felix di Marina Pellegrino, Vincenzo Meriani, Francesco Venga e Matteo Parisi Di OLGA CHIEFFI Oggi, nella Chiesa di Santa Apollonia alle ore 20, ottavo appuntamento in cartellone della IV […]
Mercoledì 7 giugno, nella Chiesa di Santa Apollonia, alle ore 20, ottavo appuntamento del Festival di Musica da Camera del Conservatorio Giuseppe Martucci con il quartetto Felix di Marina Pellegrino, Vincenzo Meriani, Francesco Venga e Matteo Parisi
Di OLGA CHIEFFI
Oggi, nella Chiesa di Santa Apollonia alle ore 20, ottavo appuntamento in cartellone della IV edizione del Festival di Musica da Camera, promosso dal Conservatorio Statale di Musica “G.Martucci” di Salerno e ideato dalle docenti del dipartimento di musica da camera Anna Bellagamba e Francesca Taviani. Ospiti di questa serata saranno i componenti del giovane ma già affermato Quartetto Felix, nato tra le mura dell’Accademia di Santa Cecilia, che schiera Vincenzo Meriani al violino, Francesco Venga alla viola, Matteo Parisi al violoncello e Marina Pellegrino al pianoforte. Il programma verrà inaugurato dal Quartetto per pianoforte e archi n°3 in Do Minore op.60, portato definitivamente a termine da Johannes Brahms nel 1875. Ognuno dei tre Quartetti con pianoforte ha una sua precisa fisionomia psicologica, ma non c’è dubbio che il terzo Quartetto in do minore op. 60 presenta un’articolazione più complessa e più ricca di spunti emozionali, in quanto la composizione di quest’ultimo lavoro ha una storia legata agli anni in cui il musicista, dopo la morte di Schumann, si era avvicinato alla vedova Clara Wieck, pur non avendo manifestato il coraggio di unire la propria vita alla sua. All’amico Hermann Deiters, cui mostrava nel 1868 il primo tempo dell’op. 60, un Allegro non troppo di tormentata densità sonora, Brahms disse: «S’immagini un uomo che vuole sopprimersi e al quale non resta nessun altro scampo». E ancora nel 1874, quando trasportando la tonalità da diesis minore a do minore ne cambiava il Finale e aggiungeva lo Scherzo, Brahms ne tornò a parlare al chirurgo e amico Theodor Billroth come di una composizione illustrante «lo ultimo capitolo dell’uomo in frak bleu e in panciotto giallo»: evidente allusione all’infelice protagonista del romanzo di Goethe «Die Leiden des jungen Werther», confermata in seguito dai frequenti accenni alla situazione del giovane Werther, contenuti nella corrispondenza fra Brahms e Billroth pubblicata nel 1935. Naturalmente queste considerazioni non hanno un valore programmatico e aiutano a far capire lo stato d’animo brahmsiano dal quale è sbocciato il Quartetto in do minore, nella stessa tonalità della Quinta Sinfonia di Beethoven. L’Allegro del primo movimento è contrassegnato da un senso di agitazione e di insoddisfazione nella sua continua tensione armonica. Ritmicamente vivace e marcato è il successivo Scherzo, in cui il pianoforte sembra trascinare gli altri strumenti in una temperie di romantica passionalità. Va tenuto presente che lo Scherzo non è altro che la trasformazione del terzo tempo di una sonata per violino scritta nel 1854 in collaborazione con Schumann e Dietrich. Nell’Andante l’autore si immerge in quella penosa e introversa stimmung, tipica del suo intimismo musicale. Lo spigliato allegro finale vuole essere una compenetrazione tra schema classico e spirito di «Sturm und Drang» e testimonia, oltre tutto, delle capacità inventive e costruttive del compositore, nel sicuro dominio della forma. La perla della serata sarà l’esecuzione del Quartetto in Re Minore, composto da William Turner Walton, terminato ad Oxford nel 1919 e risistemato nel 1921. E’ questa un’opera vivace e comunicativa, riferibile a modelli autoctoni. L’Allegramente iniziale, esuberante e intenso, è costruito su due temi principali, il primo dai contorni modali annunciato dal violino e il secondo di sapore raveliano esposto dalla viola. Dopo uno spigoloso e saltellante Allegro scherzando, al cui interno ricompare il primo tema del primo movimento, trattato in modo fugato, l’Andante tranquillo, armonicamente ricercato, rivela atmosfere più placide e sfumate. L’ Allegro molto finale, incomincia con robuste strappate degli archi sulle quali emerge un tema quasi popolaresco che rimanda al motivo iniziale del quartetto e che si alterna ad una seconda cellula più lirica, enunciata dal violoncello, per chiudere con una fuga elettrizzante.
Quartetto di clarinetti in scena l’8 giugno, con il Quatuor di Pierre Max Dubois, dalla fresca ed efficace invenzione, i virtuosistici Six pièces d’audition di Jean Michel Defaye, i due Quartetti di Ernesto Cavallini, ove echi del cabalettismo operistico si fondono al manierismo brillante dell’epoca. In chiusura, ancora un quartetto stavolta di Endresen e Trois divertessement di Henri Tomasi ispirati da una melodia corsa che meritano di essere eseguiti con più regolarità.