In 50.000 al concerto di Manchester, la musica contro il terrore: “Vincerà l’amore”
Quanto sono belle tutte queste figlie che ballano, non hanno paura: sono talmente vive. Perché stavolta la morte non l’hanno mica fatta passare, devono averla fermata ai controlli di sicurezza. Non c’era posto per lei tra le bimbe con le orecchie di coniglio, le portano nei cerchietti in testa, dipinte a pennarello sulle guance, appuntate […]
Quanto sono belle tutte queste figlie che ballano, non hanno paura: sono talmente vive. Perché stavolta la morte non l’hanno mica fatta passare, devono averla fermata ai controlli di sicurezza. Non c’era posto per lei tra le bimbe con le orecchie di coniglio, le portano nei cerchietti in testa, dipinte a pennarello sulle guance, appuntate sulle magliette come coccarde, loro sono piccole e invece Ariana Grande è grandissima, loro la adorano e lei ha organizzato questo Live Aid dei ragazzini in una settimana: ha trascinato qui mezzo mondo della canzone, due settimane dopo le bombe che proprio a Manchester avevano ucciso 23 persone al suo concerto e 12 avevano meno di 16 anni. Cinquantamila cuori, una folla immensa nell’Old Trafford Cricket Ground perché stare a casa voleva dire arrendersi, non esserci significava dar ragione al terrore. Molti erano qui da due giorni, accampati accanto allo stadio di Beckham e Mourinho, ragazze avvolte dentro mantelline colorate che sembrano caramelle. Tantissimi sono arrivati in treno alla Piccadilly Station ma senza zaini e senza borse, non portate niente aveva detto il capo della Polizia. Solo panini e bibite, qualcosa da sgranocchiare e poi gli oggetti che ricordano i bambini morti e feriti, i ricoverati al Royal Manchester Children’s Hospital: palloncini e peluche, orsetti, stelle, pecore di lana, api giganti. In tanti hanno scritto parole da mostrare alle telecamere, «We stand together», «We are strong», «For our angels» e poi hanno agitato braccia che sembravano spighe nel vento. One Love Manchester: un concerto come atto politico e sociale, semplice forma di resistenza umana. «Siate forti, nessuno può decidere per voi la vostra vita», ha detto Ariana nemmeno 24 ore dopo il terrore di Londra: «Prego per loro». E i ragazzi lo sono stati, forti. Sono venuti lo stesso anche se il capo dell’apparato di sicurezza, “l’anello d’acciaio” creato attorno allo stadio con elicotteri, furgoni e mitra – lui si chiama Stuart Ellison – ha ammesso: «Un nuovo attentato è altamente probabile, l’allarme è altissimo». E devono averne di coraggio questi padri e queste madri, per lasciare che i loro ragazzi siano qui ad ascoltare Take That e Coldplay, Robbie Williams e Miley Cyrus. «Ci vogliono spaventati e non lo siamo», ha spiegato per tutti Olivia Hunt, che ha 16 anni e all’altro concerto c’era, e ha rischiato di morire però è tornata da Londra con mamma Suzie e con sua sorella Monica, hanno preso la Citroen celeste ed eccole qui, le orecchie di coniglio disegnate sul viso e un sorriso in faccia alla morte. Quanti sono questi figli e fratelli, mai visto un simile oceano di gioventù. E come si fa a non pensare a piazza San Carlo, ai 1527 feriti di Torino, ai ragazzini che guardavano la Juve dentro uno schermo e per poco il panico non li ha calpestati tutti. Perché si è tutti un’anima sola e una sola fragilità. «Vogliono insegnarci la paura, però io qui vedo solo amore», dice Pharrell Williams prima di mettersi a cantare, prima che arrivi lei, la regina alta un metro e mezzo, Ariana Grande che canterà mangiandosi le lacrime sotto una pioggia di stelle filanti. E quando consegna all’aria l’ultima nota, sullo schermo compare Stevie Wonder: «Se qualche pazzo vuole accostare la violenza e dio, io vi dico che questo non esiste». Se il 22 maggio le bombe al perossido di acetone avevano straziato la città, ieri la città ha rivendicato la bellezza e l’arte, l’armonia di un canto corale che è stato molto più di un concerto e che resterà nel tempo. Con calma e pazienza, 50.000 persone si sono messe in fila per i controlli, hanno seguito i percorsi e si sono ordinatamente disposte nell’anfiteatro che alle sette di sera era accarezzato da un tramonto da brividi. I militari hanno sorriso molto, si sono fatti i selfie con gli spettatori, alcuni hanno pure danzato. Si è pianto e si è riso, si è preso nota sul cellulare dell’indirizzo per le donazioni in denaro (redcross. org.uk/love): 2 milioni di sterline raccolte solo con la vendita dei biglietti. Andranno ai parenti delle vittime perché nessuno ha intascato un penny, anche gli addetti al servizio d’ordine hanno lavorato gratis e i giornalisti accreditati hanno offerto un minimo di 50 sterline. Qualcosa di non molto lontano dal memorabile Live Aid di Bob Geldof (1985, ormai), contro la carestia in Africa. «L’unica medicina del mondo è l’amore» ripete Ariana Grande ormai uscita dalla scatola Disney, emozionatissima, “broken” come si era definita dopo l’attentato e invece rieccola qui, e non è una sera di zucchero filato ma di carne e lacrime. Prima di cantare aveva visitato le bambine all’ospedale, una di loro ha fatto in tempo a uscire ed esserci, si chiama Lily Mann e le rappresenta tutte, ha 8 anni come li aveva Saffie Rose Roussos, quel sorriso lo ricordiamo bene, è la vittima più piccola. Cinquemila che c’erano il 22 maggio non hanno pagato il biglietto, ospiti di Ariana perché tornare vuol dire insistere, e resistere. E pazienza se in migliaia hanno fatto i furbi, simulando di essere stati anche loro all’Arena quell’altra volta: ora rischiano una denuncia per falso. Piccolezze umane dentro un giorno enorme. «Guardate verso il cielo e cantate forte» ha detto alla moltitudine Gary Barlow, e intanto quel cielo non si decideva a diventare scuro, forse neppure lui voleva smettere di esserci. A sorpresa arriva persino Liam Gallagher, e pare l’ennesimo regalo di una serata a suo modo indimenticabile. Qualcuno, uscendo dall’arena avrà pensato alla frase di Gandhi, non l’odio è il nemico ma la paura. Però stavolta nessuno le ha dato la soddisfazione di esistere, pure lei è rimasta bloccata ai cancelli e non ha superato i controlli. E guardando bene la folla che se ne stava andando a concerto finito, quanti genitori e nonni lì nel mucchio: tutti quelli che hanno accompagnato i più piccoli perché il coraggio non si spiega, si mostra. Tantissimi sorridevano. Il militare gigantesco, una specie di gorilla. I molti che si tenevano per mano. La bambina con i capelli di zucchero filato e quell’altra, piccola, che davanti ai poliziotti armati faceva le bolle di sapone. (la Repubblica)