La mamma di Emanuela Orlandi scrive al Vaticano: «Non è un caso chiuso, è mia figlia»
È un appello accorato, una vera e propria supplica quella che Maria Pezzano Orlandi, la mamma di Emanuela, rivolge a monsignor Angelo Becciu. Una settimana fa, dopo la presentazione dell’istanza con la quale la famiglia – assistita dagli avvocati Annamaria Bernardini De Pace e Laura Sgró – chiedeva di poter visionare il dossier custodito presso […]
È un appello accorato, una vera e propria supplica quella che Maria Pezzano Orlandi, la mamma di Emanuela, rivolge a monsignor Angelo Becciu. Una settimana fa, dopo la presentazione dell’istanza con la quale la famiglia – assistita dagli avvocati Annamaria Bernardini De Pace e Laura Sgró – chiedeva di poter visionare il dossier custodito presso la segreteria di Stato in Vaticano sulla scomparsa della quindicenne avvenuta 34 anni fa, l’alto prelato aveva risposto: «Per noi il caso è chiuso». Adesso la signora ha deciso di inviare una lettera proprio perché il suo dolore non potrà mai essere lenito fino a quando non conoscerà la verità sulla sorte della figlia. Finora è stato Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, a rappresentare la famiglia di fronte a tutti coloro avrebbero potuto fornire elementi utili. Adesso che «svariate fonti» hanno parlato dell’esistenza di un dossier segreto presso la Santa Sede, è la mamma a esprimere la propria disperazione sperando che questa sua richiesta di aiuto arrivi fino a papa Francesco. Queste le sue parole: “Eccellenza, dopo avere letto le Sue dichiarazioni, voglio condividere con Lei il dolore che pulsa nel cuore di una madre ormai anziana. Risiedo in Vaticano, stavo ancora bevendo un caffè con il mio avvocato, quando le agenzie di stampa si sono scatenate con le sue durissime parole: «Per noi il caso è chiuso». Non era passata neanche un’ora da quando la mia famiglia aveva rivolto formalmente al Segretario di Stato la richiesta di vedere il fascicolo che riguarda Emanuela e il caso era già chiuso. Io attendo da 34 lunghi anni di sapere che cosa è successo a mia figlia e la Sua risposta è giunta dopo solo una manciata di minuti. La mia bambina, il «caso chiuso», non meritava neppure qualche ora di ponderata riflessione. E tantomeno una risposta. Le ricordo, Eccellenza, che i casi degli scomparsi si chiudono solo in due modi: o con il ritrovamento in vita di chi è sparito o con l’accertamento della sua morte. Me lo dica, allora, Eccellenza, come si è chiuso il caso di mia figlia. Perché se per Lei il caso è chiuso, allora di certo sa cosa è accaduto a Emanuela. Mi dica dove si trova mia figlia, Eccellenza, se Lei sa che è viva mi dica dov’è adesso, perché voglio andare subito a riabbracciarla. Attendo da troppo tempo questo momento. Se invece Lei sa che Emanuela non c’è più, allora, Eccellenza, mi dica dove sono i suoi resti. Mi dica dove posso trovare la tomba della mia bambina. Sono sua madre, io l’ho partorita, l’ho allevata, l’ho vista crescere e poi sparire ancora prima che diventasse donna. Me lo dica, Eccellenza, dov’è sepolta Emanuela, vorrei portarle un fiore. Ogni giorno, vorrei ricoprirla di fiori. Ma se non ha risposte da darmi, allora, Eccellenza, il caso non è affatto chiuso; è ancora aperto. Dunque, la Sua frettolosa risposta è diplomatica? Invece la Sua coscienza, l’abito che porta e il ruolo che riveste, dovrebbero obbligarLa ad aiutarmi a trovare Emanuela. Dovrebbero obbligarLa a confortare una madre desolata, ad asciugare le sue lacrime e a prodigarsi per lenire il vuoto immenso che ha lasciato Emanuela in questa famiglia quel pomeriggio di 34 anni fa, quando è uscita per andare a scuola di musica e non è più tornata. Emanuela Orlandi non è un «caso chiuso», è mia figlia. E io la cercherò finché il Signore mi terrà in vita”. (Corriere della Sera)