La mostra “Longobardi. Un popolo che cambia la storia”. Trecento reperti all’Archeologico di Napoli

5 giugno 2017 | 17:00
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La mostra “Longobardi. Un popolo che cambia la storia”. Trecento reperti all’Archeologico di Napoli

«Sarei tentato di invitare Salvini». La battuta viene dal direttore del Museo Archeologico Paolo Giulierini e rompe un po’ l’austerità della biblioteca del Collegio Romano, dove è allestita la mostra. Tre sedi museali che uniranno nord e sud Italia e poi l’Ermitage di San Pietroburgo, dove la grande mostra italiana sbarcherà nell’aprile del 2018. Longobardi, […]

«Sarei tentato di invitare Salvini». La battuta viene dal direttore del Museo Archeologico Paolo Giulierini e rompe un po’ l’austerità della biblioteca del Collegio Romano, dove è allestita la mostra. Tre sedi museali che uniranno nord e sud Italia e poi l’Ermitage di San Pietroburgo, dove la grande mostra italiana sbarcherà nell’aprile del 2018. Longobardi, barbari dalla lunga barba, negli ultimi decenni “recuperati” da una visione buonista delle invasioni dopo la fine dell’impero romano protagonisti e autori di un cambiamento e mediatori di un collegamento tra Mediterraneo e Nord Europa che si evince dagli ultimi 15 anni di studi scientifici e scavi. Della loro vita si sapeva poco, la loro epopea è stata rimossa, i reperti di raffinata fattura dimenticati spesso nei depositi dei musei. Trecento saranno esposti, provenienti da 80 musei prestatori, prima a Pavia il primo settembre, poi a Napoli al Museo Archeologico dal 15 dicembre e infine a San Pietroburgo. Napoli impegnerà 10 sale del Mann accanto alla Sala della Meridiana che, al termine, informa il direttore, esporranno in permanenza la nuova sezione della Magna Grecia. Le stesse sale dal 7 giugno ospiteranno la mostra “Amori divini”. Ma Salvini è longobardo o padano? E con questa mostra si allarga la Padania? «Meglio forse dire che siamo tutti longobardi», taglia corto sempre scherzando Giulierini. La sorpresa sarà che Salerno, che ha ancora strade con nomi longobardi ed è considerata la più vicina al Regno di Pavia fondato dal popolo che con Alboino varcò le Alpi Giulie nel 568, ha meno reperti di Benevento e Napoli, ma anche di Capua, che con questa mostra dovrebbe vedere risollevate le sorti di un museo provinciale meno raggiunto dal turismo, ma bellissimo e importante. Così, a reperti di sicura presa sul pubblico, come i contesti funebri di Collegno, nel Torinese, dove è stato ritrovato un bambino di 7 anni con il cranio deformato apposta, pratica usata per distinguere le classi sociali più alte, o le sepolture dei cavalieri con i loro cavalli, trovati nella necropoli di Sant’Albano Stura, quindi sempre a nord, il sud risponderà con gli ori di Senise, 20 pezzi che erano rimasti per anni nascosti nei “secreta” del Mann, nel dubbio ora risolto che non fossero longobardi ma ostrogoti. «Si tende a far credere che quello dei longobardi sia stato un morbido atterraggio — osserva Federico Marazzi, che con Gian Pietro Brogiolo e altri studiosi dell’Alto medioevo ha curato la mostra — invece non fu così: all’inizio del VI secolo i Goti avevano mantenuto gli usi e l’amministrazione romana fino a quando i bizantini non li cacciarono e arrivarono i longobardi che cambiarono completamente la cultura e gli usi di un popolo in profonda crisi. Comincia con l’ingresso nel Medioevo una lunga querelle che arriverà a Dante e a Carducci, passando per Machiavelli e Guicciardini: i longobardi infransero l’identità italiana o no? Manzoni pensava che fossero i peggiori tra i barbari. Per altri furono dei ricostruttori». «Ci sono mostre — commenta Franceschini — che finiscono quando chiudono e altre come questa che lasciano una traccia anche scientifica». (la Repubblica)