Paestum espone le tombe lucane dipinte. La mostra “Action Painting” a cura di Marino Niola e Gabriel Zuchtriegel
“Reinventare la vita per addolcire la morte”: basta ricordarsi della Canzone di Marinella di De André per capire lo spirito della tombe dipinte di Paestum. Nel quarto secolo avanti Cristo, come oggi, il messaggio non cambia: l’essere umano affronta il lutto celebrando l’esistenza di chi lo ha lasciato. Ed è questo il senso della mostra […]
“Reinventare la vita per addolcire la morte”: basta ricordarsi della Canzone di Marinella di De André per capire lo spirito della tombe dipinte di Paestum. Nel quarto secolo avanti Cristo, come oggi, il messaggio non cambia: l’essere umano affronta il lutto celebrando l’esistenza di chi lo ha lasciato. Ed è questo il senso della mostra “Action Painting” nel museo di Paestum. La sala dedicata al santuario di Hera Argiva, dal 2 giugno al 31 dicembre ospita un allestimento nuovo, composto da nove sepolture affrescate e quattro corredi funebri. I reperti, quasi tutti provenienti dai depositi dell’edificio, sono stati protagonisti di piccole esposizioni o mai mostrati al pubblico. Proprio come il tesoretto ritrovato nel sepolcro di una donna, composto da una collana, orecchini, fermagli e fibbie. «Queste lastre dipinte – spiega il direttore del parco e del museo Gabriel Zuchtriegel – raccontano i temi più diffusi nella pittura sepolcrale delle tombe lucane, ossia quelle realizzate nel quarto e terzo secolo avanti Cristo, quando altre popolazioni italiche si affiancarono ai greci nella vita quotidiana a Paestum». Gli stili pittorici si evolvono, anche se c’è una continuità stilistica, comprovata negli elementi decorativi che collegano queste tombe a quella del Tuffatore, più vecchia di un secolo. La mostra ha un carattere archeologico con un approfondimento antropologico sui riti di sepoltura. Oltre a Zuchtriegel, infatti, i curatori sono Elisabetta Moro e Marino Niola. «I visitatori – dice quest’ultimo – possono ammirare oggetti splendidi e anche farsi un’idea di tutto quel ciò che rappresentano. Ossia le cerimonie per i morti, le azioni per antonomasia inventate dagli uomini per affrontare la morte ed esorcizzarla. Si può dire che le opere funerarie siano un vero e proprio attivatore della cultura umana, in un unico filo rosso evolutivo, dalle piramidi alle tombe di Paestum». Fino ad oggi. «Certo – conclude Niola – la tecnologia traduce tutto nel suo linguaggio, totalmente diverso dal passato, ma qualcosa rimane. Come simbolo e monito. Ed ecco che, nel lutto di internet, nel messaggio di una lapide elettronica, Facebook si trasforma in una grande Spoon River digitale». Tra gli oggetti esposti spicca un bellissimo vaso firmato dall’artista Python, che racconta la nascita di Elena. Accanto la tomba di un guerriero il cui scheletro indossa ancora la corazza. Ancora scene affrescate di processioni, donne piangenti, giochi di lotta, suonatori di flauto e figure di eroi che tornano vittoriosi a casa, accolti da una donna con un recipiente di libagioni. La tomba più importante è certamente la numero 418, rinvenuta nella località Spina Gaudo. È stata appena restaurata dal museo, grazie ad una speciale donazione di 30.000 dollari della fondazione “Italian American Forum”. «Gli affreschi – dichiara Tiziana D’Angelo, responsabile scientifica dell’allestimento e docente di arte e archeologia classica a Cambridge – sono straordinari: la defunta è ritratta accanto al volto di una gorgone, figura legata al passaggio nell’oltretomba. È un esempio unico». La pittura presenta anche tracce di tessuto, studiate da Francesco Meo, docente di archeologia della Magna Grecia nell’universita del Salento: «Sono i resti del sudario della donna – afferma – composto da lana pregiata». (la Repubblica)