Papa Francesco: «L’adolescenza non è una malattia. Oggi i ragazzi cercano la vertigine che li faccia sentire vivi: diamogliela»
Non è una patologia e non possiamo affrontarla come se lo fosse. Il Papa parla dell’adolescenza, delle questioni educative in relazione a questa età della vita, e mette in guardia dagli errori più comuni in tale ambito. «Medicalizzare precocemente i nostri ragazzi», pensare l’educazione prescindendo dai contesti concreti (per cui a Roma, raccomanda, pensate in […]
Non è una patologia e non possiamo affrontarla come se lo fosse. Il Papa parla dell’adolescenza, delle questioni educative in relazione a questa età della vita, e mette in guardia dagli errori più comuni in tale ambito. «Medicalizzare precocemente i nostri ragazzi», pensare l’educazione prescindendo dai contesti concreti (per cui a Roma, raccomanda, pensate in romanesco), il cancellare le radici, in una società già di per sé «sradicata», lasciare che altri diano loro quella «vertigine» che essi cercano, oppure ridurre tutto a una sola dimensione (l’educazione del cervello), tralasciando cuore (i sentimenti) e mani (il saper fare). E infine invita a riscoprire l’austerità contro il consumismo. Francesco ha toccato l’argomento ieri nella Basilica di San Giovanni in Laterano, dove ha aperto il convegno della diocesi di Roma sul tema: «Non lasciamoli soli. Accompagnare i genitori nell’educazione degli adolescenti». In precedenza il Papa aveva incontrato alcune famiglie di immigrati ospiti delle parrocchie e degli Istituti religiosi romani. Quindi era entrato in Basilica con al fianco il nuovo vicario, monsignor Angelo De Donatis, e il cardinale vicario “uscente” (il passaggio di consegna avverrà il 29 giugno), Agostino Vallini. A quest’ultimo ha espresso il suo grazie, ricordando che tra i primi ai quali aveva pensato al momento dell’elezione era stato proprio lui («un vescovo ha sempre un vicario»). Vallini «ha tante virtù e un senso dell’oggettività che mi ha tenuto con i piedi per terra. Io volo a volte e lui con carità mi ha riportato a terra». «Ora lascia – ha detto ancora il Papa – ma mantiene il lavoro in sei congregazioni ed è bene, perché un napoletano senza lavoro sarebbe una calamità», ha concluso suscitando l’applauso e l’ilarità dei presenti. Il cardinale aveva fatto gli auguri al suo successore e ringraziato a sua volta il Papa «per la fiducia che mi ha accordato in questi anni. È stata una grazia grande poter lavorare al suo fianco». Poi la meditazione vera e propria. Innanzitutto Francesco ha invitato a pensare in romanesco cioè a contestualizzare. «Non è la stessa cosa educare o essere famiglia in un piccolo paese e in una metropoli. Non dico che sia meglio o peggio, è semplicemente diverso», ha sottolineato elencando alcune difficoltà della vita a Roma: «Le distanze tra casa e lavoro (in alcuni casi fino a 2 ore per arrivare); la mancanza di legami familiari vicini, a causa del fatto di essersi dovuti spostare per trovare lavoro o per poter pagare un affitto; il vivere sempre “al centesimo” per arrivare alla fine del mese, perché il ritmo di vita è di per sé più costoso (nel paese ci si arrangia meglio); il tempo tante volte insufficiente per conoscere i vicini là dove viviamo; il dover lasciare in moltissimi casi i figli soli». In secondo luogo il Papa ha messo in guardia dal perdere le radici. «E quando non ci sono radici, qualsiasi vento finisce per trascinarti». Perciò Bergoglio ha nuovamente raccomandato il dialogo intergenerazionale, specie con i nonni, raccontando l’episodio riferitogli da sua nonna di quel papà che aveva confinato suo padre a mangiare in cucina perché ormai si sbrodolava. Poi un giorno ha trovato suo figlio che costruiva un tavolo e gli ha spiegato che sarebbe stato il suo quando fosse diventato vecchio come il nonno. Con gli adolescenti, ha poi ricordato, non bisogna essere negligenti ma neanche sempre allarmarsi. «Perciò bisogna discernere quali battaglie fare e quali no». «I nostri ragazzi cercano di essere e vogliono sentirsi logicamente protagonisti». Dunque stimolare attività che li mettano alla prova, «la vertigine che li faccia sentire vivi, diamogliela» (ma attenti agli zii: «Le prime parolacce le ho imparate da uno zio zitello», ha detto il Papa). E comunque «l’adolescenza non è una malattia che dobbiamo combattere». Per i ragazzi, invece, il Papa ha chiesto una «alfabetizzazione socio-integrata, cioè un’educazione basata sull’intelletto, gli affetti e l’agire». Attenzione a non creare «analfabeti emotivi» e «ragazzi con tanto progetti incompiuti», perché non sanno come fare. Questo però richiede educatori all’altezza. E il Papa non ha mancato di notare che mentre «i ragazzi vogliono essere grandi, i grandi vogliono essere o sono diventati adolescenti». «Come è triste che qualcuno voglia fare il lifiting al cuore, cancellando gioie e tristezze» (ha citato anche Anna Magnani che di fronte alla prospettiva del lifting disse: «No queste rughe mi sono costate tutta la vita, sono preziose»). Infine il Papa ha chiesto di «educare all’austerità in un contesto di consumismo molto forte» («le spese maggiori, dopo quelle basilari degli alimenti, sono per la cosmesi, oggi anche degli uomini»). No alla golosità, anche spirituale, sì all’austerità «come via per incontrarsi, gettare ponti, aprire spazi, crescere con gli altri e per gli altri». (Avvenire)