Parla la vittima dell’untore di Roma, a processo per epidemia: «Io, contagiata da Valentino. Ecco la mia vita con l’Hiv»

12 giugno 2017 | 17:39
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Parla la vittima dell’untore di Roma, a processo per epidemia: «Io, contagiata da Valentino. Ecco la mia vita con l’Hiv»

Parla, allegra, come se volesse sfuggire al silenzio: «A volte ti faceva un’improvvisata al lavoro. Ti portava un regalo inaspettato. Mi presentava agli amici. Mi fece conoscere gli zii. Insomma, mi faceva sentire importante. Lo sentivi vicino, c’era condivisione, attrazione, sintonia. Questo era Valentino Talluto». All’epoca, Manuela (nome di fantasia) aveva avuto un lutto in […]

Parla, allegra, come se volesse sfuggire al silenzio: «A volte ti faceva un’improvvisata al lavoro. Ti portava un regalo inaspettato. Mi presentava agli amici. Mi fece conoscere gli zii. Insomma, mi faceva sentire importante. Lo sentivi vicino, c’era condivisione, attrazione, sintonia. Questo era Valentino Talluto». All’epoca, Manuela (nome di fantasia) aveva avuto un lutto in famiglia: «Avevo perduto una persona cara. Mi aveva lasciato un vuoto. È un buco che mi porto ancora dietro». Forse lui l’aveva intuito. Sapeva che avrebbe lavorato a suo favore. «Ci siamo conosciuti in chat. Un mese dopo siamo usciti. Lui abitava da solo, ma non aveva molti soldi. C’era in ballo l’eredità della madre e in famiglia erano liti: tutti contro tutti. Io studiavo, ma intanto lavoravo. Di chiedere soldi a mia madre neanche a pensarci, sarebbe stato ingiusto. Perciò arrivavo a fare due-tre attività. Cameriera. Cose così. Alla fine qualche euro entrava: andavamo a cena fuori, ma pagavo io il conto». Amanti, agli antipodi. «Ci sono voluti mesi per capire che c’erano altre donne. E anni per comprendere che era un’umiliazione per me». Come l’ha scoperto? «Nel modo più banale, dal computer. Il cellulare se lo portava sempre dietro, avesse potuto ci sarebbe entrato anche nel box della doccia. Invece con il pc era più distratto. Un giorno era rimasta una schermata aperta. C’era una chat e frasi irriferibili…». Le liti tradivano la componente di violenza dentro di lui. Insulti. Bestemmie: «Una volta mi tirò dietro una ciotola di pasta. Avevo provato a seguire una ricetta di famiglia, m’era venuta male…». Manuela credeva alle favole: «Mi disse: “Guarda che con quelle non ci faccio niente, quando tu sei via ci chatto per divertirmi”. Vai a sapere che in parallelo era arrivato ad avere anche sei storie». Con lei Talluto, oggi a processo per epidemia — avrebbe infettato almeno 35 donne — è stato sincero: «Un giorno mi dice: “Sai, sono sieropositivo”. Allora penso ai nostri rapporti, lui li esigeva senza protezione, e capisco che devo fare il test. Lo faccio ed esce fuori negativo. Come mai? Eravamo nel periodo finestra. Il suo Dna era entrato nel mio sangue e la sieroconversione era in atto. Ne faccio un altro: positiva». Ricorda quel momento? «Ero sola in una stanza dell’ospedale Spallanzani. Il medico alza la cartellina e mi dice: “Signorina mi spiace…”. In un attimo tutto si cancella. Come se vedessi nero. Lui dice qualcosa che non ricordo. Io scoppio a piangere. Poi esco dalla stanza, cammino fuori e mi siedo su una panchina. Sa chi è la prima persona che ho chiamato?». Valentino svicola, dice che non può raggiungerla, accampa un impegno con il teatro. Però alla fine arriva. Ma è tardi. Manuela è già un’altra donna: «Ricordo che era pomeriggio, mi feci accompagnare a casa e andai a risposare. Mi svegliai il giorno dopo che avevo perso la lezione all’università». Svegliarsi. E ritrovarlo ancora lì. Un virus immortale. «Ci pensi quando mancano pochi giorni alla fine del mese e sai che devi ripresentarti allo Spallanzani. Ci pensi quando sono trascorsi i sei mesi che servono per ripetere l’analisi del sistema immunitario. Ci pensi perché sai che al massimo, se ti va bene, l’hai addormentato. Ma sarà sempre in circolo nel tuo sangue. E che se prendi una malattia importante quello può fare da catalizzatore». Il suo avvocato, Irma Conti, annuisce. Com’è il rapporto con gli altri? Manuela li divide in due categorie. Quelli del bicchiere di vetro e gli altri della plastica: «C’è chi ti offre il caffè nella tazzina di vetro. Ma sono pochi. La maggior parte ascolta, sorride, annuisce, ma poi ti serve il caffè nel bicchiere di plastica». Paura. Disinformazione. Ignoranza. Poi c’è un altro trauma: dirlo alle persone a cui tieni. Genitori. Amici. Il suo nuovo amore, una compagna: «Lei è la benedizione in fondo a questa storia. Dopotutto ho avuto fortuna, le persone che amavo hanno capito e io sono stata come un fiume in piena: ho confidato tutto». Di crisi in crisi, di separazione in separazione, si arriva al 2012. Fra le decine di donne di Talluto, Manuela è quella che ha resistito di più. In cambio è stata la più tradita. «Nel 2012 mi si presenta davanti a casa: “Sono cambiato”. Lo guardo. Ha i capelli tagliati in un altro modo. È dimagrito. Mi lascio convincere. Riprendiamo anche i rapporti sessuali. Non riuscivo a guardarlo con occhi diversi. Ero sempre la solita Manuela». La solita Manuela che intuisce e previene: «Un pomeriggio, stavo cucinando risotto con la salsiccia mi ricordo, si presenta da me una ragazza e mi chiede se conosco Valentino…». Era una fra le tante altre. Tocca a Manuela dirle come stanno le cose. E convincerla a fare il test dell’Hiv. Oggi sono amiche. (Corriere della Sera)