Scafati. Trapiantato di fegato licenziato dall’Acse per le troppe assenze. Luomo deve sottoporsi a una dialisi trisettimanale
Licenziato per i troppi permessi chiesti per malattia, nonostante il trapianto di fegato che da anni lo porta a effettuare la dialisi per tre volte a settimana. Promette battaglia D.S., 48enne ex dipendente dell’Acse, la società partecipata del Comune di Scafati che si occupa della gestione della raccolta differenziata dei rifiuti e dei parcheggi a […]
Licenziato per i troppi permessi chiesti per malattia, nonostante il trapianto di fegato che da anni lo porta a effettuare la dialisi per tre volte a settimana. Promette battaglia D.S., 48enne ex dipendente dell’Acse, la società partecipata del Comune di Scafati che si occupa della gestione della raccolta differenziata dei rifiuti e dei parcheggi a pagamento nella città dell’Agro. L’uomo è stato licenziato. D.S. era stato assunto all’Acse nel 2008, con l’azienda che lo aveva reclutato dalla graduatoria destinata ai diversamente abili. Dopo il trapianto di fegato sostenuto in passato, infatti, il 48enne si sottopone a un trattamento di dialisi per tre giorni a settimana. Questo lo ha portato a chiedere 480 giorni di malattia all’azienda, che ritenendo esagerata la richiesta ha ritenuto di licenziarlo con l’avvento della gestione commissariale del Comune. L’uomo, però, non sarebbe l’unico caso limite registrato all’interno della società di via Diaz. Potrebbero ritrovarsi senza lavoro, infatti, altri tre dipendenti, ai quali sarebbe stato già contestato l’abuso di permessi legati alle condizioni di salute. Il 48enne ha preferito non commentare la vicenda, tenendo il più stretto riserbo su quanto accaduto. Tuttavia ha già presentato gli atti al proprio legale di fiducia per impugnare il provvedimento del Consiglio d’amministrazione dell’Acse. Sulla vicenda, al momento, i sindacati hanno deciso di non prendere posizione. In linea di principio il dipendente malato non può essere licenziato. Tuttavia ci sono due casi in cui è possibile procedere con il licenziamento: o per “superamento di comporto” o per “scarso rendimento“. Nel primo caso è la legge che prevede disposizioni ben precise, nel secondo invece ci sono interpretazioni di giurisprudenza. Il codice civile, infatti, stabilisce che l’azienda ha il dovere di mantenere il posto di lavoro del dipendente in malattia, nei limiti dell’arco temporale superato il quale l’azienda può licenziare un dipendente: questo periodo è stabilito dalla legge, dai contratti collettivi o, in alcuni casi, dagli usi. I contratti collettivi stabiliscono, infatti, un periodo massimo oltre il quale un’assenza per malattia non può protrarsi. Superato tale limite il datore di lavoro può procedere al licenziamento. Fa eccezione solo il caso in cui a causare la malattia sia stato il datore di lavoro, per non aver garantito un ambiente salubre e privo di rischi: ci potrebbero essere le condizioni per appellarsi all’infortunio sul lavoro, alla mancata predisposizione delle misure di sicurezza e quindi si può ottenere un allungamento del periodo di “comporto”. Se per principio il lavoratore malato non può essere licenziato a causa della sua malattia e dell’assenza protratta, però, va ricordato che ci sono casi in cui il licenziamento del dipendente malato può scattare in caso di crisi aziendale o di ristrutturazione interna, o ancora, per motivi disciplinari. (La Città)